I guastafeste del Natale

C'è un "altro Natale" di cui nessuno parla e che, invece, dilaga sempre di più nel cuore e nelle famiglie di molti. Occorre riconoscerlo, perché è nemico di Cristo. FEDERICO PICHETTO

C’è un altro Natale di cui nessuno parla e che, invece, dilaga sempre di più nel cuore e nelle famiglie di molti. Questo “altro Natale” non è generato dalla crisi economica e sociale che il nostro paese sta attraversando e non è neppure l’esito di un’inevitabile patologia connessa al progresso della società borghese, bensì è un qualcosa che ha a che fare con la “natura” stessa dell’uomo che — in questo strano periodo — viene “ad arte” esasperata. 

Esiste infatti un Natale convenzionale, promosso dai media e dalle mille tradizioni del nostro paese, un Natale fatto di intimità, di affetti, di calore e di condivisione. Questo Natale è spesso frutto di un’autoconvinzione collettiva che inizia con il montaggio e l’accensione delle luminarie pubbliche, con gli alberi e gli spot televisivi, con gli addobbi e — in qualche misura — pure con gli usi suggestivi e grandi della Chiesa. Ma il “Natale convenzionale” più si avvicinano i giorni cruciali della festa, più cede il passo all’altro Natale, taciuto come un’onta che non può affatto essere espressa, pena l’imbarazzo e l’evidente responsabilità di un intero sistema. 

Esso è iniziato con le cene di lavoro o di classe, con le recite dei bimbi e i regali aziendali, con la prenotazione dei ristoranti “per il 25” o la decisione di organizzare il pranzo della festa in quella o quell’altra casa. Al principio queste circostanze scivolano addosso, quasi fossero automatiche, suscitando magari una lieve emozione o qualche amara nostalgia. Ma poi, quando le vie si affollano di gente e le ferie si avvicinano, l’apparente felicità degli altri appare improvvisamente insostenibile e tutto sembra gridare l’attesa di Qualcosa che al nostro cuore terribilmente manca, un’attesa che per dodici mesi riusciamo a tenere a bada, ma che a Natale esplode e si trasforma in malinconia, in rabbia o in un semplicissimo — ma drammatico — senso di vuoto e di solitudine: la nostra vita non ci basta, forse non ci piace e un pianto — a volte trattenuto, a volte espresso — deflagra dentro il nostro cuore. 

Tutto questo amore, tutta questa magia, tutta questa gratitudine e questa speranza che respiriamo nell’aria vorremmo fosse nostra, fosse per noi, ma sentiamo che in definitiva non lo è. Così si riaprono le antiche e mai sepolte ferite, si riapre il ricordo di chi non c’è più, la memoria dei nostri errori e l’intera esistenza finisce per mostrarsi a noi come una crudeltà priva di significato. 

È questo l’altro Natale di cui nessuno parla, quello che in Occidente incrementa in percentuali significative le crisi di ansia, i casi di depressione e i tentativi di suicidio, il Natale che viene alimentato — volontariamente o involontariamente non si sa — da coloro che promuovono il mito di una vita perfetta e compiuta, il mito di un’esistenza magica priva di grandi problemi. 

Questo Natale è la vera notizia di questi giorni, è l’emergenza sociale che in vasta scala attraversa le nostre città, i nostri paesi, il nostro stesso cuore: un clima artificiale ed epico che esaspera la nostra natura umana che è fatta strutturalmente di attesa, ma che al contrario — durante l’anno — noi identifichiamo con la prestazione e il successo. A Natale il mondo cambia registro e mette a nudo, con un’improvvisa sottile violenza, tutta la sproporzione che il nostro cuore sperimenta tra quello che c’è e quello che davvero aspettiamo. Ogni cosa acquista così il colore della tristezza e il gusto di un’insopprimibile angoscia che ci lascia terribilmente soli, a caccia di qualcosa — di qualunque cosa (dal cibo alla sessualità, dalla trasgressione al moralismo) — che possa far tacere anche per un solo istante questo nostro urlo, questa tragica solitudine. 

Non tutti viviamo il Natale così e, anzi, quando qualcuno attorno a noi manifesta uno di questi sintomi viene emarginato, biasimato, preso in giro o — più banalmente — tacciato di “rovinare il Natale agli altri”. Il fatto è che quest’angoscia, giustificata poi in mille modi, aggredisce seriamente l’Io ed è prodotta non dalla stravaganza di qualcuno, ma dal nostro stesso mondo. Eppure la verità è che tutto questo non esiste, che quella condanna ad una vita inutile e priva di amore che il nostro cuore spesso teme è solo una suggestione indotta dalla mente e dai “mercanti del consumo” che affollano i nostri giorni, uno stato psichico che niente ha a che fare con quello che davvero esiste e si muove attorno a noi. 

Perché ciò che realmente c’è, a Natale come durante l’anno, siamo noi e la nostra grandezza, sono le persone che amiamo e che vorremmo amare, quelle che non ti aspetti ma che ti sorprendono e i desideri umanissimi di una vita degna che vorrebbe soltanto essere più vera, più abbracciata, più custodita. Per questo il Natale non è quella fiera della manipolazione che abbiamo descritto, ma è un’altra cosa: Natale, infatti, è Dio che ci manda Cristo, che ci fa un regalo vero e decisivo, consapevole di quello che abbiamo realmente bisogno. Egli non lo ha fatto con uno spot o con una promozione, non lo ha fatto suscitando in noi sentimenti arbitrari o illusioni senza prospettiva: lo ha fatto amandoci e donandosi. Ed è così, per questo gesto di misericordia infinita, che è sorto il Natale. Perché Qualcuno ci ha visti e non ha avuto paura di attraversare tutto il Cielo per venirci semplicemente a prendere. Desiderando solo che tutto il mondo potesse finalmente essere consapevole di che razza di mancanza domini il cuore di ciascuno di noi. 

Solo se riusciremo a guardarci gli uni gli altri così sarà possibile fermare la morte, il male che avanza e che conquista la nostra anima, con l’efferata illusione che qualche luce o qualche canto possa sul serio essere sufficiente ad abbracciare quel grido che fa tremare il mondo e che ci rende, innanzitutto, uomini.

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