Vivere senza domenica

Restituire il giorno collettivo di riposo per tutti, liberando coloro che solitamente lavorano di domenica, secondo SALVATORE ABBRUZZESE è un obiettivo possibile e necessario

La liberalizzazione dei giorni e degli orari di apertura dei negozi si sta imponendo con l’ovvietà delle piogge di primavera: la si accetta come una necessità della crisi, anche se conduce a trasformazioni non marginali. Lavorare nei giorni di festa è un male minore rispetto alla gravità della crisi ed al problema dell’occupazione; costituisce una necessità inevitabile per molte famiglie, spesso legate a doppie attività e costrette a rinviare le spese settimanali alla domenica; rappresenta un’occasione di lavoro per i giovani che, durante la settimana, studiano o sono impegnati in stage gratuiti e non hanno una famiglia pronta a mantenerli.

La crisi sta dettando sempre di più l’agenda di tutti. Tuttavia ciò non può impedire che, dinanzi ad ogni singola scelta, si abbia una coscienza chiara dei vantaggi che ne conseguono come delle perdite che vi si registrano. Nel caso del lavoro nei giorni festivi i vantaggi sono chiari e le perdite invisibili, spesso ridotte apparentemente alla banale modifica di abitudini e stili di vita. Cresce sempre di più il numero quanti lavorano anche la domenica, così come cresce quello di quanti la impiegano per attività di tempo libero facilmente realizzabili in qualsiasi altro giorno della settimana. A molti, il fatto di condividere il proprio giorno di riposo con un intero mondo in festa risulta essere un’esigenza del tutto irrilevante e, di fatto, inesistente.

Eppure è altrettanto ovvio che per chi crede, qualunque sia la sua religione di appartenenza, il giorno di riposo condiviso non è un’abitudine ma una necessità. Fermarsi per guardarsi dentro, per riannodare il proprio percorso personale assieme alla propria comunità, per recuperare un giorno di condivisione che si iscriva in qualcosa di ben più grande e solenne del banale tempo libero, ma richiami alla mente una storia e una memoria è tanto importante quanto possono esserlo i conti a fine mese. Per chi crede, il rito religioso festivo non ha alcunché di banale ma è un’esperienza che struttura la vita interiore: non solo rinvia ad una comunità di credenti che è lì presente, ma consente anche di iscriversi in una storia ben più grande del proprio microcosmo privato.

Ma la condivisione del giorno festivo non è solo un problema delle comunità credenti, bensì è necessaria per l’intera collettività laica in quanto tale. La coesione sociale – questo bene prezioso in caduta libera – non si alimenta sotto la fibrillazione degli eventi estemporanei o delle grandi ricorrenze annuali; non è il risultato di un imperativo morale (qualunque sia l’istituzione che lo proponga) ma si produce solo attraverso l’esperienza di momenti costanti di condivisione. Quest’ultimi non possono essere prodotti solo da situazioni eccezionali dell’esistenza collettiva, ma hanno bisogno di presentarsi costantemente nella vita ordinaria.

La possibilità di sperimentare settimanalmente gli stessi momenti di riposo costituisce allora uno scenario essenziale affinché sia possibile condividere spazi e tempi qualitativamente diversi da quelli che si producono per pura contiguità spaziale. Il giorno di riposo condiviso consente la possibilità di fare degli altri un’esperienza diversa da quella della semplice folla. Il fatto che una collettività che si incontra solo nei momenti estemporanei dell’attesa dell’autobus (o del treno) o alla fila delle casse di un supermercato, abbia la possibilità di incrociarsi in un momento ed in uno spazio di tempo libero condiviso, pone le premesse per processi di relazione, scambio e riconoscimento tanto più necessari quanto più le vite individuali sono sempre più autoreferenziali.

Ogni società è una rete di relazioni significative: il loro assottigliarsi, il loro affievolirsi, la loro scomparsa, coperta dal fumo dei “contatti” via rete, apre molti più problemi di quanti non ne risolvano i supermercati aperti la domenica. Soprattutto per quanti, anziché riservarvi una quota del proprio tempo libero, sono invece costretti a lavorarci, perdendo così l’appuntamento con un momento di vita collettiva che, fino a ieri, aveva consentito loro di rinnovare costantemente quelle stesse reti di interconoscenza che sono alla base della vita condivisa. Restituire il giorno collettivo di riposo per tutti, liberando quanti sono costretti ad andarci e garantendo loro una vita ugualmente dignitosa, è un obiettivo possibile, ma forse anche necessario.

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