Vittime del governo ombra

È in opera in Italia una élite parallela che non ha altra fonte di legittimazione se non quella costituita dalle capacità di pagare e far pagare tangenti. Cosa rimane? SALVATORE ABBRUZZESE

Le ultime novità provenienti dal sistema giudiziario stanno facendo emergere un esteso sistema di tangenti che coinvolge due tra i settori più importanti dell’impegno pubblico: l’Expo di Milano ed il Mose di Venezia. Ciò che colpisce sono le fasce d’età e gli status professionali. Non si tratta di reati compiuti da personalità rampanti senza scrupoli, bensì da dirigenti collaudati di primo livello, da rappresentanti dell’Italia più qualificata, spesso già adeguatamente retribuita. Proprio per questo il problema è ancora più grave, in quanto la vera posta in gioco non sono i flussi di danaro ma il potere che deriva dalla capacità di assicurarseli.

Di fatto – occorre pur riconoscerlo – è in opera in Italia una élite parallela, un sistema di potere che non ha altra fonte di legittimazione se non quella costituita dalle capacità di dirottare parte dei finanziamenti delle opere pubbliche presso casse che, se un tempo erano quelle dei partiti, oggi sono semplicemente quelle dei feudi personali. È una logica solare, esplicitamente riconosciuta, perfettamente nella norma, anche se si tratta di una norma deviata. Questa logica vive nei corridoi dei palazzi del potere e si attiva non appena si spengono i riflettori e si chiudono le porte di assemblee e dibattiti. Occorre prendere atto che questa seconda Italia scorre del tutto parallela a quella ufficiale, fino a costituire un vero e proprio governo ombra, un assetto fatto di persone e gruppi serenamente insediato, da decenni, nelle pieghe del nostro Paese. Il danno che questa élite di professionisti dell’ombra e della furbizia arreca è infinito. Costoro umiliano le competenze reali, le onestà esplicite, le virtù del rispetto della norma, dell’esecuzione quotidiana dei doveri.

Ma qui il problema è allora costituito dalla facilità con la quale una tale logica della decurtazione privata sui finanziamenti pubblici penetra all’interno del sistema di amministrazione e di governo. Corruzione e concussione sembrano dilagare nel corpo del nostro sistema amministrativo con la stessa facilità dell’influenza di stagione. Si tratta di un’Italia che riscuote successo e viene prontamente imitata, in formato casalingo, da quanti si fingono invalidi a quanti si fanno credere sul posto di lavoro, da quanti perpetrano le frodi alimentari a quanti redigono le false certificazioni. La polis appare completamente sguarnita di anticorpi. Le difese di ogni tipo: giuridiche innanzitutto, ma anche e soprattutto morali, sembrano essere inesistenti e, soprattutto – chiunque può constatarlo – platealmente inefficaci. Perché? 

Una constatazione storica si impone. Dopo la prima tangentopoli ci siamo sentiti paghi della distribuzione di anni di galera e di punizioni esemplari. Applausi a scena aperta e cappi in Parlamento hanno fatto da scenario alla vendetta del signor Rossi verso chiunque. 

L’indignazione era giunta all’apice e la richiesta di punizioni solenni, anche a costo di travolgere tutto e tutti, ha attraversato il Paese instaurando un clima di terrore dove molti innocenti sono finiti travolti e le scuse, come sempre, sono state tardive e in sordina quando il pubblico disprezzo, a suo tempo, era stato invece plateale e roboante. 

Oggi abbiamo la prova provata che tutto questo è stato semplicemente inutile. Oggi sappiamo con certezza come la cultura della legalità non si alimenta solo sul piano delle ovvie e doverose sanzioni. Non basta punire il male, magari aumentando in modo esponenziale la rabbia e ingaggiando i plotoni di esecuzione. Occorre avere il coraggio di riconoscere e premiare il bene, ad ogni livello. 

Il recupero della meritocrazia non può realmente essere tale se non si concretizza in un riconoscimento di chi si impegna. Occorre che nei confronti degli onesti che si prodigano oltre l’orario d’ufficio cessi la pruderie diffusa, la discrezione estesa che sfocia inevitabilmente nel silenzio. Occorre che le competenze reali, le onestà esplicite, le virtù del rispetto della norma ad ogni livello siano considerate e premiate. Occorre che l’Italia di chi si impegna oltre ogni limite sia portata alla luce del sole, debitamente riconosciuta, ufficialmente ringraziata e concretamente gratificata. Occorre che le eccellenze non ricevano solo onorificenze formali e cessino di essere sempre collocate in seconda serata mentre le idiozie di ogni sorta imperano nelle ore di punta e campeggiano sulle copertine.

Solo una città dei meriti può veramente confinare nell’ombra la città dei furbi. Solo un riconoscimento costante, tanto sul piano della visibilità mediatica, quanto su quello dei riconoscimenti ufficiali e dei premi espliciti, può dare fiato ad un’Italia dell’impegno e delle virtù che, ancora oggi, resta costantemente dileggiata dietro le quinte e quindi, proprio per questo, intimamente offesa. 

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