Iraq, colpa dei neocon

Sull’attuale situazione dell’Iraq pesano gli errori commessi da Obama e dall’ideologia neocon dell’epoca di Bush. A farne le spese saranno ancora una volta i cristiani. FERNANDO DE HARO

“Abbiamo bisogno di un altro Saddam Hussein”. È quello che dice uno dei pochi caldei che vive in Spagna quando lo si interroga sul futuro del suo Paese. È la tentazione perenne della dittatura quale rimedio al caos. E questa volta il caos ha proporzioni enormi. Lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, il ramo di Al Qaeda nel Paese, non si accontenta del controllo di Mosul (nel nord del Paese), ma vuol marciare su Baghdad. Ha legami stretti con lo jihadismo siriano ed è cresciuto perché il suo sogno di creare un proprio emirato nella zona sembra più vicino alla realizzazione.

La minoranza non radicale sunnita, stanca degli abusi subiti dal governo sciita di Al Maliki, ha smesso di combattere contro i terroristi. E di fronte alla debolezza dello Stato, i curdi sono tornati a essere quelli di sempre: a loro basta controllare ampie zone del nord del Paese. L’Agenzia internazionale dell’energia avverte che il prezzo del petrolio salirà. E gli Stati Uniti dicono che non interverranno con le truppe e che forse manderanno dei droni. I cristiani, come sempre, torneranno a essere il capro espiatorio: prima della guerra di Bush erano 900.000, ora ne restano 100.000 nel Paese. Sono pochi e i pochi che restano fuggono in massa.

Il patriarca dei coopti cattolici, Ibrahim Isaac Sidrak, l’ha detto chiaramente: “Siamo d’accordo sul fatto che non era opportuno avere un dittatore come Saddam. Ma gli Stati Uniti devono rendere conto del loro intervento in Iraq. Il Paese è diviso come non mai e non ci sono quasi più cristiani”. Alla base di questa tragedia, che destabilizza tutta la regione, hanno un peso evidente gli errori di Obama e l’ideologia neocon che ha dominato molti uffici della Casa Bianca durante il mandato di Bush.

Obama ha fallito nel suo tentativo di riavviare il processo di pace in Terra Santa, ha sbagliato ad appoggiare i Fratelli musulmani in Egitto (per fortuna c’è un Egitto musulmano e maturo che rifiuta i radicali) e ha anche commesso errori in Iraq. Ha appoggiato Al Maliki nonostante sia un presidente settario. Ha ritirato le truppe due anni fa, quando ancora si era lontani dalla stabilità. L’Iraq non è l’Afghanistan. Fino a qualche anno fa era un Paese moderno, con infrastrutture e una classe media formata. Il generale Petraeus aveva detto chiaramente al presidente qual era la soluzione: truppe e promozione della riconciliazione nazionale.

Responsabilità maggiori le ha il trotskismo occidentale. Sì, il trotskismo. Buona parte dei neocon che furono al comando dopo l’11 settembre erano rivoluzionari che si erano abbeverati ai fondamenti della Quarta Internazionale per poi avere l’impazienza dinanzi alla storia di utilizzare il potere per instaurare i valori occidentali in tutto il mondo.

L’American Enterprise Institute for Public Policy Research e il Project for the New American Century diventarono le loro basi. Il vicepresidente Cheney gli aprì le porte della Casa Bianca e alcuni di loro, come Richard Perle, che fu il padre dell’operazione contro Saddam, arrivarono molto in alto.

Quella dei neocon, che subito si allearono con alcuni cristiani fondamentalisti, è stata una delle ultime teologie politiche di cui abbiamo sofferto. In nome dei valori occidentali e cristiani, interpretati in modo molto particolare, si intervenne in Iraq contro il cristianesimo storico, rappresentato dalla Chiesa caldea e da quella assira. La strategia di costruzione nazionale era stata preparata negli uffici e, colpa dell’occidentalismo, non aveva tenuto conto del fatto che i seguaci della croce erano una minoranza decisiva per stabilizzare il Paese. I paesi a maggioranza musulmana del Medio Oriente potranno essere democratici in futuro, ma si tratterà di democrazie differenti da quelle occidentali e non saranno mai laiche.

La tragica sbornia neocon ci insegna almeno tre cose. Le teologie politiche non sono un bene per la libertà. Di fatto lo spazio aperto dagli occidentalisti è ora occupato dai jihadisti. Bisogna ascoltare i cristiani d’Oriente. E, infine, cosa forse più importante, i valori svincolati dalla storia, in cui si mantengono vivi e possibili, scollegati dalla vita concreta della gente e delle loro necessità, possono essere molto pericolosi.

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