L’amore clandestino

Come mai la memoria dei santi e dei defunti è accostata nella liturgia della Chiesa? Due realtà distanti, eppure rese così vicine da un'unica cifra: un amore. PRIMO SOLDI

“Non si capirebbe davvero Pier Paolo Pasolini senza partire da un’esperienza affettiva. Nella sua opera emerge continuamente un’urgenza, che è poi forse il suo tratto più intenso e distintivo: una necessità di amore non come pure sentimento, ma come luogo privilegiato della conoscenza” (F. Sinisi). È questo amore per i nostri cari che ci spinge nei primi giorni di novembre a uscire di casa per portare fiori sulla loro tomba. È un amore “in uscita”, ma è ancora più importante saper accogliere l’amore “in entrata”. Si tratta di accogliere un amore che abbiamo ricevuto e che riceviamo a volte senza neanche sapere da chi e per che cosa.

Mi sono sempre chiesto come mai la memoria dei santi e dei defunti è accostata nella liturgia della Chiesa. Due realtà distanti, eppure rese così vicine da un’unica cifra: un amore, e tante volte non sappiamo da chi e per che cosa. Ogni giorno il calendario ci rende prossimi la memoria di un santo, o di una santa, di uomini e donne che hanno amato di un amore sovrabbondante, senza esigere di essere riamati, privilegiando sempre nel loro amore i poveri, i malati, gli ultimi. Hanno amato perfino i loro nemici. Sono in difficoltà a fare degli esempi tanto è grande il loro numero “che nessuno può contare”, come dice l’Apocalisse. Mentre scrivo ho davanti a me la figura attraente di San Giovanni Paolo II. Quanti santi sono nostri contemporanei! “È impossibile conoscere qualcosa senza amarla”, scrive ancora Sinisi nell’articolo citato. I nostri cari hanno conosciuto e sperimentato la sovrabbondanza dell’amore di Dio e l’hanno donato ognuno come ha potuto. Quanti sono i santi “clandestini”, i battezzati di ogni epoca e di ogni nazione che hanno compiuto con amore e fedeltà la volontà di Dio. Giustamente Alessandro Manzoni chiamava la Chiesa “Madre dei Santi”. 

Alla Chiesa non mancano certo i figli riottosi o addirittura ribelli, e comunque questi sono i suoi “figli”. Però è nei santi che la Chiesa riconosce i tratti caratteristici del suo essere “Chiesa Santa” e in loro, grazie a loro, assapora la sua gioia più profonda. Diceva san Bernardo: “Quando io penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri”. Su venti ragazzi che avevo questa settimana al catechismo, a cui ho rivolto la domanda “ditemi qual è il vostro più grande desiderio”, soltanto uno, Andrea, mi ha risposto: “il mio più grande desiderio è girare in tutto il mondo!”. Perché non desiderare anche noi di essere come i santi vicini a Dio, essere felici di abitare in questa famiglia di Dio, fare una famiglia in cui Dio sia presente qui e ora, e non il grande assente?

Famiglie che accolgono, che convivono con il dolore degli altri, che riconoscono nei profughi non quelli che hanno bisogno delle Nike o di un qualsiasi comfort, ma di vedere una faccia che li ama. Se Dio non c’è, noi non ci siamo e ci manca sempre qualcosa, come scriveva Pasolini parlando di un senso di incompiutezza che gli rodeva il cuore: “manca sempre qualcosa, c’è un vuoto / in ogni mio intuire. Ed è volgare, / questo non essere completo, è volgare, / mai fu così volgare come in questa ansia, / questo ‘non avere Cristo’ – una faccia / che sia strumento di un lavoro non tutto / perduto nel puro intuire in solitudine” (Poesia in forma di rosa, 1964). 

Eppure, se noi fissassimo anche solo il momento dell’Angelus, una volta al giorno, una giaculatoria, un “rapido messaggio all’indirizzo di Dio, facendo così eviteremo che il desiderio tenda a intiepidirsi, si raffreddi del tutto o si estingua per mancanza di un frequente stimolo” (S. Agostino, Lettera 130 a Proba). E poi non dobbiamo avere paura del sacrificio, come non ne avevano i nostri genitori. 

Questi santi “clandestini” sono vissuti accanto a noi e sono passati attraverso prove e sofferenze, altri santi hanno conosciuto ogni giorno le persecuzioni di Satana (pensiamo a San Padre Pio), altri hanno conosciuto il martirio e “hanno reso le loro vesti candide con il sangue dell’Agnello” (Ap. 20,14). L’unica vera infelicità, l’unica incompiutezza che ci rode il cuore è vivere lontani da Dio. Un figlio non può prima o poi non riconoscere l’amore di suo padre e di sua madre. 

E quello di Dio è un amore infinito che ci spinge ad amare gli altri, ad accogliere i profughi, come ad accogliere la vita dei bambini (anziché ucciderli con l’aborto). In questi giorni possano risuonare nel nostro cuore le Beatitudini del Vangelo, soprattutto quella che papa Francesco farà risuonare a Cracovia a luglio 2016 per la Giornata Mondiale dei Giovani: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”. Le Beatitudini sono i tratti inconfondibili del Volto di Cristo. Invochiamoli, invochiamoli questi nostri cari santi, amici e modelli di vita. Allora coi fiori che con tanta cura poniamo sulle loro tombe, faranno fiorire qualcosa di bello in noi.

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