La (nuova) sfida delle coop

La crisi non solo economica trascina con sé povertà, disoccupazione e ingiustizie sociali. Le imprese che possono aiutarci a superare la crisi sono le cooperative. Perché? GIORGIO VITTADINI

“Occorre mettere al primo posto la fondazione di nuove imprese cooperative, insieme allo sviluppo ulteriore di quelle esistenti in modo da creare soprattutto nuove possibilità di lavoro che oggi non ci sono”, ha detto qualche giorno fa papa Francesco ai membri di Confcooperative riuniti in udienza.

Il contesto è chiaro: la crisi non solo economica che trascina con sé povertà, disoccupazione e ingiustizie sociali crescenti. La prospettiva è ambiziosa e profonda: nel mondo economico non deve comandare “il capitale sugli uomini ma gli uomini sul capitale”. Fino alla crisi economico-finanziaria scoppiata nel 2008, chiedersi se l’economia dovesse per forza ritenere inevitabili le ineguaglianze, la distruzione delle risorse naturali e dell’ambiente, la perdita di posti di lavoro per talune categorie di persone, il degrado della qualità delle città e delle periferie delle megalopoli, era atteggiamento sospettato di voler mettere un limite alla libertà di un capitalismo che doveva essere il meno possibile regolato. Con la recente crisi mondiale, il liberismo di stampo neoclassico, dietro alla facciata di parole autocritiche, non ha cambiato la sostanza. 

Infatti, se da una parte sulle prime pagine dei giornali non si leggono più giudizi negativi sul nostro Paese in ritardo nel “convertirsi ai derivati”, dall’altra le teorie economiche insegnate nelle università e proclamate dalla mediocre cultura di politici nostrani e internazionali si riferiscono ancora ad un modello di sviluppo che non mette neanche a tema i problemi sempre più immani che crea.

Non si tratta di proporre facili ricette stataliste, come il ritorno ad un sistema centralista, inadeguato in società sempre più complesse con bisogni sempre più differenziati. Si tratta innanzitutto di capire cosa ci può essere di alternativo alla massimizzazione del profitto, cosa possa promuovere uno “sviluppo che sia un vero progresso integrale della persona”.

Nell’individuare delle vie di uscita dalla crisi economica, una crescente letteratura mette in evidenza l’importanza di istituzioni informali (valori, cultura) e di legami di fiducia e di reputazione a livello locale. Tali reti locali di rapporti sono importanti sia come “reti di sostegno” (aspetto difensivo) sia come fattori di innovazione e dinamica (aspetto di apertura e crescita). E’ un altro modo di intendere l’economia che caratterizza ad esempio le società cooperative, imprese in cui l’accumulo del capitale è indivisibile e viene reinvestito nell’attività dell’azienda; i soci sono suoi gestori e possono, attraverso adeguati sistemi di rappresentanza, incidere sulle scelte dell’impresa; le cariche societarie sono ricoperte in maggioranza dagli associati e il patrimonio è affidato a nuove generazioni di soci. 

Come disse in una sua pubblicazione uno dei più famosi economisti dell’Ottocento, Alfred Marshall, “alcuni movimenti hanno un elevato scopo sociale, altri invece un fine economico; solamente le cooperative li hanno entrambi”. Infatti, con il loro spirito mutualistico che “mette assieme le forze”, nell’uguaglianza e nel legame con il territorio, coniugano solidarietà e soddisfazione materiale. 

E’ un sistema che nel nostro Paese affonda le radici nel tempo, ma il cui valore è decisamente ancora attuale, visto che negli anni della crisi è cresciuto a tassi superiori a quelli sia delle imprese di altro tipo che delle istituzioni pubbliche. Le cooperative rappresentano solo l’1,5% del totale complessivo delle imprese attive, ma oltre ad essere emblematiche di un altro modo di concepire l’economia, il loro processo di evoluzione è vivo e si concentra in ambiti ad alta intensità di lavoro, come i servizi alla persona, soprattutto nella sanità, dove la scelta per la forma cooperativa incide per oltre un quarto delle imprese attive. 

Non è un mondo perfetto naturalmente, e i recenti scandali lo dimostrano; se il loro ideale non viene mantenuto vivo, anche il settore cooperativo può diventare corporazione. Solo tenendo vivi ideali per l’uomo e valorizzando la natura relazionale delle persone i giovani possono sentirsi coinvolti. Solo ideali così possono permette di inventare, fare sacrifici, solidarizzare e affrontare nuove sfide.

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