Elezioni, cristiani senza partito

I risultati delle elezioni amministrative spagnole svoltesi domenica offrono diversi spunti di riflessione. Anche per i cristiani, come spiega FERNANDO DE HARO

Il Partido Popular ha vinto le elezioni amministrative, ma perderà il governo di importanti città e regioni. Attraverso le alleanze, la sinistra può andare al potere nelle principali comunità autonome, cosa che comporterà un passo indietro nella libertà educativa. I nuovi partiti Podemos e Ciudadanos hanno eroso il bipartitismo, ma non l’hanno distrutto. Questi sono alcuni dei “titoli” che ci lascia la giornata di domenica.

Il populismo di Podemos avanza e ottiene vittorie decisive a Madrid e Barcellona. Gli accordi con i socialisti faranno sì che, sebbene abbia vinto nella Comunità di Madrid, in Castiglia-La Mancia, Valencia, Baleari, Cantabria e Aragona, il Pp non governi. I popolari hanno perso 11 punti e Ciudadanos non è salito abbastanza per far sì che potessero nascere tanti governi di centrodestra.

Questi risultati sono un invito a correggere il modo di fare politica degli ultimi anni, un invito al Pp per cambiare rotta. Era logico e inevitabile che tra gli elettori ci fosse una certa indignazione, visti gli episodi di corruzione e di esercizio del potere molto lontani dalla vita quotidiani dei cittadini. Ormai non c’è più tempo per le riforme prima delle elezioni politiche, ma la lista l’abbiamo tutti in mente: l’elezione diretta dei sindaci con il doppio turno, la sostituzione delle liste bloccate con un modello simile a quello tedesco, l’uscita dei partiti da alcuni istituzioni come le televisioni regionali, ecc.

Pp e Psoe non sono stati capaci di fare in tempo queste riforme e ciò ha fatto nascere dei nuovi partiti. Novità non è però sinonimo di rigenerazione. Il radicalismo di Podemos, che alcuni definiscono “integralismo democratico”, cambierà poco lo stato delle cose. Il successo rapido di Ciudadanos ha mostrato la sua debolezza: Albert Rivera, il suo Presidente, non ha resistito alla tentazione di presentarsi alle elezioni municipali quando la sua formazione era lungi dall’avere dei candidati all’altezza.

Questi risultati riflettono un certo astio, che rende impossibile l’incontro e il dialogo nella vita sociale. La dinamica amico-nemico praticata dai partiti ha preso il sopravvento e non c’è più conversazione, per la quale è necessario accettare lo sforzo di raccontarsi. E finché i più sinceri non faranno questo esercizio, non si accorgeranno di quante cose hanno dato per scontate. Il fatto che i nuovi parlamentari saranno più frammentati aiuterà il dialogo? Non necessariamente, perché non ci sarà conversazione politica senza una conversazione pre-politica.

Il desiderio di cambiamento non significa necessariamente che questo cambiamento sia cominciato. I nuovi partiti possono ripetere gli errori di quelli vecchi e la società civile può continuare a concepirsi come un’appendice dei loro apparati. Le affermazioni sulle vecchie formazioni politiche, le speranze suscitate da quelle nuove e l’ansia con cui molti elettori sono andati alle urne mostra fino a che punto lo spazio pubblico è determinato dalla debolezza di chi ignora il valore di un protagonismo apartitico. 

La comunità cristiana non è stata estranea a questa ansia. La principale novità – in termini politici e sociali – che i cristiani possono portare nella vita spagnola non dipende dal trionfo di questo o di quel partito. La logica e sana distanza, che non significa indifferenza, e la capacità di costruire spazi di libertà sono proporzionali all’esperienza che si ha di un cambiamento già presente. Un’esperienza simile a quella che avevano i cristiani ai tempi dell’Impero Romano, persino prima dell’Editto di Milano.

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