Giovani con la morte nel cuore

Storie macrabe di giovani che ammazzano e si tolgono la vita senza un perché. Eppure oggigiorno la vita si sta trasformando in ansia e paura. Riflessioni di DON FEDERICO PICHETTO

Questa storia bisogna avere il coraggio di raccontarla dall’interno. Come in un macabro film, infatti, tre vicende si intrecciano per raccontarci un altro racconto apparentemente terribile, eppure vero. Ludovico Caiazza aveva 32 anni e la settimana scorsa pare abbia rapinato una gioielleria a Roma uccidendo un uomo. Arrestato, il giovane si è tolto la vita in prigione. E tutto è rimasto senza un perché. Gianluca Mereu di anni ne aveva 22 e, portato in questura dopo un inspiegabile attacco di rabbia e di follia, si è gettato dalla finestra della Questura stessa ponendo fine alla sua vita e lasciando anche lui tutto senza un perché. Lamberto Lucaccioni, infine, aveva 16 anni e per un’overdose d’ecstasy è morto dopo essersi sentito male mentre ballava al Cocoricò di Riccione. E anche qui, è inutile dirlo, tutto è rimasto senza un perché.

C’è una generazione davanti a noi di cui nessuno parla, ma che sta trasformando in ansia e paura ogni istante della propria vita. Il suo inizio ideale è alla fine degli anni ’70, mentre Moro viene ammazzato e Wojtyla è eletto papa. Il suo crepuscolo, invece, sta in quel capodanno di inizio millennio che ha cambiato un po’ tutti e ha aperto – de facto – l’era digitale. Quelli nati in questo breve – ma lunghissimo – lasso di tempo i sociologi li chiamano “millenials”, i genitori al contrario non sanno piú neanche se chiamarli, vista la distanza abissale che segna ormai i rapporti e le comunicazioni con loro.

Sono i ragazzi nati troppo tardi per aggrapparsi alle vecchie ideologie e venuti al mondo troppo presto per accettare una vita completamente virtuale e senza legami davvero radicali e profondi. Sembra che qualcuno abbia fatto loro una grande promessa di bene, sembra che le coccole di mamma e papà li abbiano illusi che quella promessa si sarebbe sul serio realizzata e sembra – infine – che tutto sia andato in frantumi all’improvviso, in un amaro risveglio che ha lasciato dentro il cuore tanta rabbia e tanto dolore. Da allora, da quel giorno così diverso per ciascuno, cercano solo di ricostruire il sogno infranto, la magia interrotta, e sfidano apertamente ogni codice morale del loro tempo. Si sentono in diritto di fare e di dire qualunque cosa, di costruire rapporti e di distruggerli, di fare promesse e di non mantenerle, di decidere arbitrariamente se essere uomo, donna o entrambi. Non hanno regole, non hanno confini, si concepiscono impuniti e impunibili. Non conoscono valori o ideali, si soffocano dentro amicizie tempestose, sessualità perverse, ribellioni ad ogni status definitivo e irrevocabile.

Alcuni di loro sono già padri, madri, medici, avvocati, preti e suore. In tanti, invece, non sono ancora niente di chiaro e non vogliono esserlo. Hanno solo tanta bramosia di piangere, di vendicarsi, di rubare al mondo quel fuoco di piacere e di amore che sentono essere stato loro sottratto. Divorziano, abortiscono, usano il sesso come merce, come anestetico o come linguaggio, diversi si drogano, mentre altri si compiacciono del facile potere o si imprigionano nella loro mente.

E costruiscono, dal di dentro dei loro pensieri, i loro pregiudizi e le loro fortezze. Depressi, bipolari, maniacali, o semplicemente annoiati, credono che la vita sia loro nemica, che il mondo non li capisca e che qualcuno, in definitiva, si sia accanito contro di loro. Sono ostaggio di quello che vogliono essere, ma nessuno ha insegnato loro ad amare quello che sono.

Quando incontrano la realtà molti scappano, tanti iniziano a farsi curare, alcuni addirittura impazziscono e arrivano materialmente a darsi la morte, a chiudere i conti per sempre con una Terra che li ha rifiutati e ch ha lasciato loro solo qualche lacrima e qualche canzone. Sono loro l’ultimo prodotto del nichilismo gaio di questo occidente a fine corsa e per loro forse è stata scritta “The sound of silence”. Ma forse è meglio non dirlo, forse è meglio non parlarne. E negare perfino che tutto questo sia vero, che esita. Dopo tutto sono i nostri ragazzi, hanno bei voti e danno tante soddisfazioni. Perché tormentarli col nostro moralismo? Perché essere cosí pessimisti e categorici? Meglio girarsi dall’altra parte, credere di farcela da sé e non ammettere, neppure nel proprio cuore, che tutte le nostre libertà e i nostri vezzeggiamenti non riescono a trovare neppure una parola da dire dinnanzi a un cuore che sanguina. Perché tutto, alla fine, rimane sempre senza un perché. Anche quando il perché in realtà c’è e ha a che fare col desiderio più profondo del cuore dell’uomo, il desiderio di essere felici.

Quel desiderio che vorremmo solo fosse una deplorevole ossessione di Leopardi, una bella traccia per qualche tema del Liceo, ma che invece – oggi come non mai – bussa violentemente alla porta del cuore dei nostri figli. I millennials, i protagonisti del gran finale di un secolo condannato ad essere semplicemente tragico.

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