A caccia di Dio

Un adulto che non conserva nel cuore la domanda sul senso della vita non avrà il cuore aperto ad un'amicizia che propone di partire continuamente "a caccia di Dio". PIGI COLOGNESI

Nell’introduzione al volume Si vive solo per morire? — che, a sua volta, introduce una nuova collana dell’editore Cantagalli, intitolata “A caccia di Dio” —, padre Mauro Giuseppe Lepori (che della collana è il direttore) racconta di una dodicenne che, tornando dalla visita al nonno morente, chiede alla mamma: “Perché dover andare a scuola, e lavorare, se poi si deve morire?”. Commenta l’abate generale dei Cistercensi: “Un adulto che non conserva nel cuore la domanda sul senso della vita che, di fronte alla morte, sorge in un dodicenne, non avrà il cuore aperto ad un’amicizia che propone di partire insieme, e in compagnia di grandi autori, ‘a caccia di Dio’ cioè del Senso ultimo e universale della vita”.

Faccio parte della “amicizia” da cui viene la proposta della nuova collana. L’abbiamo progettata una sera durante il Meeting del 2015; avevamo appena sentito la lezione di padre Lepori sul titolo dell’incontro riminese — “Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?” — e abbiamo deciso che proprio quella riflessione sarebbe stata il cuore del primo volume. In essa ad un certo punto Lepori elenca alcuni grandi autori che, nel nostro clima culturale che invita a lasciar perdere le grandi domande, al contrario “provocano a interrogare il nostro cuore e a bloccarlo, come un cane punta la beccaccia, sotto la mira spietata della domanda a cui può e deve rispondere solo lui, di cui è il solo responsabile: la domanda sulla pienezza che desidera, la domanda sulla felicità, e quindi la domanda su quale sia mai la realtà, l’esperienza che brama con tutto se stesso, tanto da sentirsi pieno della sua mancanza”.

L’immagine della misteriosissima beccaccia (è nel logo della collana e le sue impronte attraversano la copertina dei libri) che blocca, attirandole e quindi rilanciandole, le energie del cane e del cacciatore ci è tornata in mente quando si è trattato di dare un titolo alla collana: “A caccia di Dio” ci è sembrata un’efficace metafora di quella ricerca del significato della vita che niente e nulla può cancellare, ma che sembra oggi languire come una scintilla soffocata dalla polvere di altre preoccupazioni apparentemente più “concrete”, snobbata dallo scetticismo di chi dice che, tanto, la beccaccia non c’è perché lui non la vede.

Caccia, dunque, come metafora della ricerca. Gli studiosi della storia della nostra lingua hanno sempre saputo che il verbo “cercare” deriva dal tardo latino “circare”, che vuol dire girare in tondo; restava quindi da spiegare come si sia passati da un significato che indica esclusivamente un muoversi in circolo, al senso della ricerca cioè quel muoversi che punta verso un oggetto desiderato. 

Don Claudio Stercal, del comitato redazionale della collana, ha scovato uno scritto dei primi anni Sessanta del grande studioso della lingua italiana Bruno Migliorini che connette ricerca e caccia. “Circare” indicava infatti anche una particolare tecnica di caccia (già descritta dal greco Senofonte) che consiste — scrive il Migliorini — nel “far fare al cane giri sempre più larghi per trovare le tracce della selvaggina”. Insomma cercare è proprio come essere a caccia, disposti ad allargare sempre di più il diametro del cerchio, fino a dilatarlo a quella infinità con cui, in fondo, coincide la divina beccaccia del significato.

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