Una campagna elettorale per costruire

Tra non molte settimane ci saranno le elezioni amministrative e in tanti saremo chiamati a scegliere e votare chi guiderà i nostri comuni. Ne parla PIGI COLOGNESI

Tra non molte settimane ci saranno le elezioni amministrative: in tanti saremo chiamati a scegliere chi guiderà i nostri comuni. Vale la pena cominciare a parlarne con un certo anticipo perché ci sono di mezzo questioni rilevanti. La più esplosiva riguarda la disaffezione verso una generica «politica», che potrebbe produrre un’impennata di astensionismo disamorato. I mezzi di comunicazione – pieni di facili scandalismi o fumose dietrologie, di cedimenti al gossip o di lamentele d’ordinanza – non aiutano ad interessarsi realmente delle elezioni. Ma non è difficile – soprattutto per chi abita in centri medio-piccoli – uscire da questo cono d’ombra ed accorgersi che quello che c’è in ballo ci tocca da vicino: le amministrazioni comunali prendono decisioni che incidono immediatamente sulla nostra vita quotidiana, dalle buche (o meno) nelle strade alla spazzatura, dalla presenza (o meno) del verde alle mense scolastiche; per non parlare di problematiche più vaste in cui l’amministrazione locale è coinvolta: sicurezza, immigrazione, welfare, famiglia, lavoro…

Chi abita in una grande città per forza sente un po’ più lontana la «politica» del comune, anche perché troppe volte essa è stata letta e vissuta come sbiadita fotocopia di quella nazionale, con le sue contrapposizioni partitico/ideologiche. Sembra però che questa fase stia passando: anche a livello di grandi città si torna a parlare di cose concrete e i candidati tendono a identificarsi meno per gli schieramenti (peraltro estremamente fluidi) che per i programmi. Ovviamente non sono così ingenuo da non accorgermi che c’è un partito/ideologia che – come diceva il mio caro Péguy – non tramonta mai ed è quello del denaro. Comunque, anche nelle metropoli si può discutere civilmente (civis è appunto il cittadino) del proprio futuro concreto, dell’immagine di città in cui si vorrebbe vivere, delle cose che si ritengono più importanti e di quelle cui, in mancanza di risorse, si è disposti a rinunciare. In uno sforzo teso veramente a individuare – per quanto si può insieme – quale sia la strada migliore perché i nostri figli vivano in una città più bella.

Sforzo che implica la volontà di capire. Infatti le cose si stanno trasformando rapidamente; basti pensare alla nascita delle Città metropolitane, che muteranno profondamente le dinamiche amministrative cui siamo abituati e di cui sappiamo poco. Certo, con la massa di pseudo informazioni che ci invade, con la proverbiale farraginosità delle nostre leggi, decreti, delibere, giù giù fino ai biglietti sulle porte degli usceri, con l’obliquo linguaggio da casta che amministratori (ma anche manager, accademici e capipopolo) usano, è difficile capire la nostra città. Ma è proprio la provocazione a capire che sento vivace in questa campagna elettorale.

La prima l’ho fatta, senza neppure aver diritto al voto in quando ancora diciassettenne, per le comunali del mio paesello. Era il 1975 e i problemi sul tavolo (il sorpasso del PCI sulla DC) molto diversi da quelli attuali. Mi ci sono buttato con foga e dedizione (non senza scorie e ambiguità che col tempo mi si sarebbero chiarite). A distanza di quarant’anni mi ritrovo addosso (più limpido, mi pare) quello stesso desiderio di capire e – come sarà possibile – di costruire.

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