Immigrati, l’Ue può “imparare” sul campo

L'Europa affronta la crisi degli immigrati con parecchi divisioni. Per FERNANDO DE HARO esistono delle soluzioni per evitare di distruggere Schengen e la propria civiltà

Prima che iniziasse il vertice speciale dell’Unione europea, con la partecipazione della Turchia, dedicato alla crisi dei rifugiati, il Papa esprimeva ammirazione per l’iniziativa dei corridoi umanitari lanciata dall’Italia. L’iniziativa ha un’origine ecumenica, dato che vi partecipano cattolici e membri delle chiese evangelica, valdese e metodista. Il riferimento di Francesco era più di una pia considerazione per promuovere il dialogo tra le chiese. Indicava una soluzione, un modello che è servito a risolvere precedenti crisi umanitarie come quella dei Balcani negli anni ’90, o di Vietnam, Cambogia e Laos negli anni ’70.

Il corridoio umanitario promosso in Italia da istituzioni della società civile, in collaborazione con il Governo italiano, ha permesso a centinaia di richiedenti asilo, tra cui 40 minori, di volare direttamente dai campi in Libano fino in Europa con i documenti in regola. Al Paese dei cedri erano arrivati da Homs, Aleppo e Damasco. Il viaggio diretto ha impedito loro di cadere nelle mani delle mafie. Prima di partire sono stati chiaramente identificati come rifugiati e non come migranti economici. Sembra una piccola cosa quando si parla di un grande esodo di centinaia di migliaia di persone, ma la stessa formula può essere utilizzata su larga scala.

Affrontare la crisi dei rifugiati, nonostante tutto quello che è successo negli ultimi mesi, non è impossibile. Richiede che l’Europa sia Europa, che tenga fede alla sua storia e recuperi l’intelligenza che sembra aver perso negli ultimi dieci mesi.

Dal campo si impara molto. Per esempio, nel quartiere armeno di Bourj Hammoud in Libano. Che è sorto dopo il grande genocidio di cento anni fa, quando i giovani turchi decisero di fare la prima pulizia etnica dell’era contemporanea. Qui le famiglie e gli amici degli armeni di Aleppo e di altre città siriane hanno aperto le loro case. Dove una volta vivevano quattro persone ora vivono otto. In tutto il Libano è successo qualcosa di analogo. È la guerra, sono le conseguenze di un conflitto in cui milioni di persone hanno perso le loro case. Non si può continuare a vivere come prima. Nei centri sociali degli armeni, i nuovi arrivati ??e quelli che sono lì da mesi, ti chiedono di aiutarli a ottenere un visto.

Non c’è bisogno di arrivare a condividere tutti gli appartamenti di tutte le città d’Europa come hanno fatto a Bourj Hammoud, ma si può dare un visto a coloro che sono realmente rifugiati perché non intraprendano un viaggio attraverso la Turchia, la Grecia e nei Balcani, controllato dalla criminalità e con scarse probabilità di successo. Un viaggio così favorisce gli abusi, il traffico di passaporti, la contaminazione terrorista, la xenofobia, la fine di Schengen e della libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione. La mala gestione della crisi dei rifugiati è dannosa per l’Europa quanto quella della crisi dell’euro.

La Merkel è arrivata al vertice speciale con la Turchia con le quattro proposte più ragionevoli: esigere che i partner europei rispettino i propri impegni (le quote concordate nel settembre 2015 non sono state rispettate); rafforzare le frontiere esterne; sostenere la Grecia nell’accogliere e identificare i rifugiati che arrivano nelle isole e raggiungere un accordo con la Turchia perché collabori con i controlli e accetti la “restituzione” di coloro che sono migranti economici. Forse il punto più debole è l’impegno di Ankara, che farà sempre il doppio gioco. Ma gli altri tre sono di buon senso. Senza un controllo efficace delle frontiere esterne Schengen salta in aria. Anche i paesi più generosi come la Svezia hanno finito per limitare la libertà di movimento. Per questo è importante la collaborazione della Nato.

I centri di controllo e identificazione per la Grecia, che sono stati approvati lo scorso autunno, come le quote di ripartizione concordate in estate, sono rimasti sulla carta. Atene non può assumersi il compito storico assegnatole senza aiuti. Le solitudine della Merkel, la mancanza di unione politica dei 28, specialmente il comportamento del Gruppo di Visegrad (gli ex paesi dell’Est) hanno contribuito a mettere in cattiva luce i rifugiati. I gravi fatti di Capodanno a Colonia messi in atto da alcuni richiedenti asilo (ancora da chiarire definitivamente); l’utilizzo di rotte di immigrati magrebini; la possibile infiltrazione di terroristi tra coloro che hanno bisogno di aiuti umanitari: tutto questo ha fatto sì che si indebolisse l’inclinazione favorevole di coloro che sei mesi fa sentivano l’accoglienza come un dovere e un’opportunità.

Tutti i problemi degli ultimi mesi sono reali. Nessuno ha mai detto che l’accoglienza sarebbe stata facile. Alcuni problemi sono cresciuti per la qualità scarsa delle risposte. Altri sono la conseguenza della paura dello straniero, una paura che cresce quando non si sa chi si è.

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