A bassa voce

Amatevi gli uni con gli altri, uno per uno. MARCO POZZA riflette sul gesto che più ha mostrato l'amore di Gesù verso il prossimo, la lavanda dei piedi. Ecco cosa dice

La sua carriera fu in senso-inverso: s’alzò di grado abbassandosi di brutto, fino a farsi largo tra i talloni luridi e polverosi dei suoi dodici amici d’avventura. Credere che Gesù di Nazareth sia Dio, è una quisquilia da scuola elementare: credere che sia stato «veramente uomo» rimane tutt’oggi la roccia sulla quale poggia l’incredulità di chi ancora non riesce a crederci. Dio “fece carriera” in Cristo, Cristo “fece carriera” la mattina nella quale l’Eterno si mise in testa di farsi-uomo: «Il Verbo si fece carne». Lo divenne così seriamente che da quei giorni il mondo divenne il suo chiodo-fisso: «Li amò sino alla fine». Si sporse sul ciglio, raschiò il barile della carità, s’improvvisò funambolo: l’Amante si fece Amore, per poi imboscarsi nelle vesti dell’Amato. Roba da far ingelosire Giuda.

Alle parole – che pure furono aguzze come frecce e delicate come carezze – scelse di gran lunga i gesti: meglio se folli, bambini, i gesti folli dell’amore bambino. Le parole hanno una misura: la misura delle parole sono le lettere, le consonanti. I gesti non hanno misura: appaiono come una finestra, tengono le sembianze di una conchiglia, hanno la destrezza della lepre e la viscidità delle anguille. Fu per questo, forse, che scelse di fare testamento firmandolo con un gesto: «Si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto» (Gv 13,4-5). Anche quella sera scelse di non fare altro se non quello ch’era da sempre nel suo cuore: li amò fino alla fine, fino alla punta-dei-piedi. Abbassandosi fino ad ingobbirsi per terra, si sporse laddove osano solo i servi e le madri. Non fu un bagno collettivo, fu un tocco personalizzato: uno ad uno, senza guardare a quali volti rimandassero i piedi. Amò i piedi di ciascuno, asciugò la polvere di tutti e dodici, baciò tutte le strade che quei piedi avevano battuto per corrergli dietro. Anche le strade che avrebbero battuto di lì in avanti, comprese quelle per fuggirgli via: la strada di Giuda, la strada di chi scrive. Dentro quel gesto-per-terra nacque la prima imbarcazione della Chiesa, la più sgangherata flotta che l’epica marina mai riuscì a dirigere con le sue carte nautiche.

Alla veemenza del gesto, aggiunse scarne parole, le poche che servivano: «Che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Non tutti assieme, raccomanda, bensì uno-ad-uno: gli uni gli altri. D’allora in poi amare il mondo intero sarà la più rischiosa delle promesse: amare l’uomo singolo rimarrà la traccia più fidata di quel testamento inzuppato d’acqua. Chi sogna di dimostrare-Dio s’intestardirà d’amare l’universo, chi sognerà di mostrare-Dio ritenterà l’impresa di partire sempre dall’uno. Per poi arrivare all’infinito.  

Scriveva don Tonino Bello, del quale ricorre in questa settimana l’anniversario della morte: «La nostra vera carriera è un’altra cosa: è la sequela di Gesù Cristo, felicissimi di essere rimasti servi, preti del Signore nella nostra piccola parrocchia, che magari non conosce nessuno». Servi di Dio, non schiavi degli uomini: «come io ho amato voi». La misura dell’amore è l’amore senza-misura di Dio. Ad amare in altri modi son capaci in tanti.

Fece, dunque, carriera in modo strano l’Uomo di Galilea: abbassandosi invece che alzandosi. Cercò la vertigine delle altezze ficcandosi nelle profondità più assurde, l’esatto opposto: indovinò i volti degli uomini baciando loro i talloni dei piedi, la parte-prima che tocca terra. Oggi, forse, non pianterebbe tenda ad Itaca: quell’isola, nella leggenda, narra il ritorno di un uomo da solo, Ulisse. Affitterebbe, forse, un anfratto di Lampedusa, laddove ad approdare sono in migliaia. Dove amare è sciogliere nodi, chiamando per nome: il cristianesimo è la religione del “nome proprio personale”, non dei “nomi comuni”. A bassa-voce.

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