Amministrative: Masaniello o la nuova politica?

Le elezioni amministrative hanno svelato uno scenario composito, per contenuto e stile. Tra sbandamenti e masochismi, però, si è visto anche qualcosa di inedito. GIORGIO VITTADINI

Come è stato osservato in questi giorni, non è possibile dare un’interpretazione univoca, solamente nazionale, ai risultati delle ultime amministrative. Quello a cui stiamo assistendo è uno scenario composto da situazioni diverse con interpreti diversi. A Napoli, l’ex magistrato alla ricerca di protagonismo che è diventato sindaco, dopo essere riuscito a scontentare tutti, si è reinventato “Masaniello” presentandosi come la vittima che, insieme ai suoi cittadini, è perseguitato dai potenti e dai poteri forti. Nel deserto di alternative credibili, la maggioranza dei napoletani lo segue. E’ qualcosa che rappresenta un’Italia in pieno sbandamento, al limite del masochismo. Un fatto che si è visto anche a Roma, dove una partitocrazia affaristica e ideologica della nuova Repubblica è riuscita a mostrare il peggio di sé negli ultimi governi della città. Così, una pentastellata, carina ma senza grandi meriti riesce a spopolare, complice un centrodestra votato al suicidio.

A questo panorama si aggiunge quello di città ben amministrate, dove le votazioni non hanno rappresentato grandi scossoni. E’ il caso di Cagliari e Rimini, e, a meno di sorprese nei ballottaggi, di Bologna e Torino. Nulla di nuovo sotto il sole. C’è il caso poi di cittadine come Busto Arsizio, in cui personaggi del mondo del lavoro stimati in città si candidano a sindaco e stravincono. Un bel segnale questo del fatto che chi vuole cambiamenti non si esprime solo protestando, ma anche lavorando, affinando competenze e promuovendo nuova volontà di iniziativa.

Milano, tra queste città, è l’esempio più importante. Qui, i due candidati che si sono confrontati per i due opposti schieramenti di centrodestra e centrosinistra, hanno fatto una campagna elettorale reale, dove hanno parlato della città, dei suoi problemi e delle soluzioni possibili. Lo hanno fatto in modo approfondito e con toni mai esacerbati. Le differenze culturali e politiche si sono viste con chiarezza: Milano deve essere “densificata” o sviluppata nell’hinterland? In quale modo deve aprirsi all’integrazione? E fino a che punto deve farsi carico del problema delle sue periferie, o puntare sul rilancio del suo ceto medio?

Su alcune importanti linee, come il ruolo di protagonista mondiale della città o la necessità di un partenariato pubblico-privato nella gestione del welfare, Giuseppe Sala e Stefano Parisi concordano. Su altri aspetti, come l’enfasi sulla sicurezza o l’accoglienza agli immigrati, un po’ meno. Ma la cosa interessante è che la narrazione nazionale dei loro partiti, è rimasta fuori, non solo perché i loro leader non sono intervenuti, ma anche perché sia Sala che Parisi hanno preso le distanze dalle frange più estreme delle loro coalizioni.

I milanesi sembrano comprendere e apprezzare i tentativi e si dividono quasi equamente tra i due candidati. Chi ha votato, non lo ha fatto con il naso turato e i tanti che non si sono recati alle urne pare abbiano più che altro espresso una preferenza per la gita fuori porta, anziché una protesta anti-sistema. Anche vista più da vicino, la scelta delle preferenze a Milano è interessante. 

Ad esempio, il risultato del M5S, rappresentato peraltro da una persona preparata, è stato molto più modesto che altrove. In sintesi, i milanesi si riconoscono in posizioni moderate e rifiutano istanze xenofobe, estranee a una città che continua ad essere capace di integrare chi viene da fuori e vuole lavorare. E non sono affatto attirati dall’anti-politica.

Anche il discreto successo delle diverse liste civiche può significare che si ricomincia a pensare che di buona politica ci sia bisogno. Da questo punto di vista è interessante il fatto che siano stati scelti i politici più esperti a discapito dei neofiti che si inventato salvatori della patria, senza avere alcuna competenza specifica. 

Almeno a Milano la retorica della società civile che sostituisce i politici fannulloni o corrotti non tiene. E per la stessa ragione, probabilmente, i cittadini hanno privilegiato candidati meno in vista, spesso giovani, che hanno lavorato con grande professionalità in consigli comunali, a chi ha pensato di usare la sua notorietà di politico nazionale per portare voti al suo partito e poi tornare a Roma, come se il consenso offerto dagli elettori non significasse nulla.

Morale: quello che sta avvenendo a Milano non è la rinascita di un partito “pigliatutto”, non è una spinta centrifuga verso Roma e nemmeno una protesta di pancia. Al contrario, può essere il re-inizio della politica fatta da persone competenti che si interessano dei problemi dei cittadini e di questi discutono e su questi si confrontano, emarginando le forzature estremiste fini a se stesse. E’ una speranza.

Ti potrebbe interessare anche

Ultime notizie

Ben Tornato!

Accedi al tuo account

Create New Account!

Fill the forms bellow to register

Recupera la tua password

Inserisci il tuo nome utente o indirizzo email per reimpostare la password.