La terza guerra mondiale a pezzi

La Francia ancora una volta è stata colpita dalla violenza del terrorismo. Il quale pone una sfida importante anche all'islam europeo, spiega FERNANDO DE HARO

Il sangue delle vittime sulla Promenade des Anglais a Nizza non era stato ancora raccolto quando la nostra attenzione è stata attirata dal tentato colpo di Stato in Turchia. Ore di vertigine e di angoscia in questa Terza guerra mondiale a pezzi che non ci lascia il tempo di piangere, soffrire e pregare per i morti. Lo sgomento sembra assalirci ogni minuto, sembra che non ci sia un punto fermo.

Non è facile orientarsi nel labirinto turco. Erdogan ha sconfitto carri armati e aerei con un iPhone: un videomessaggio ha convinto a scendere in strada quella popolazione cui il Presidente nega alcune libertà. Il popolo turco ha preferito stare dalla parte del Sultano duro. La Turchia si destabilizza proprio quando Erdogan si avvicina a Israele e Russia, proprio quando combatte con decisione Daesh. Può esserci la mano degli islamisti dietro il colpo di Stato? Il Presidente ha individuato come responsabile dei fatti Fethullah Gulen, leader in esilio di un’organizzazione islamista moderata. Nulla è mai come sembra in Turchia: al momento chi esce rafforzato dagli eventi è lo stesso Erdogan. 

E con il Presidente in sella l’Europa tira un sospiro di sollievo: è la Turchia infatti a contenere i rifugiati, a fare da tappo verso il Medio Oriente. Un sollievo in ogni caso relativo dopo l’attentato di Nizza. Quel che è accaduto nella città francese aggiunge dolore al dolore, lutto al lutto, porta sconcerto e sgomento che ci fanno impazzire. Manuel Valls, Primo ministro francese, dopo l’attentato ha detto che la Francia dovrà abituarsi a convivere con la minaccia terrorista. Abbiamo tutti capito cosa significa? Chi può prevedere che un assassino abbia pianificato di seminare distruzione e morte con un camion? Ma è proprio a questo che non ci abituiamo, anche dopo l’anno e mezzo più terribile della recente storia europea: prima c’è stato Charlie Hebdo, poi il Bataclan, quindi Bruxelles e ora Nizza. 

La Francia è diventata l’obiettivo preferito del terrorismo per diverse ragioni. L’intervento del Paese nel Sahel e il protagonismo nella coalizione che combatte Daesh in Siria e in Iraq pesano nell’immaginario dei radicali. Come pure pesa il fatto che la Francia sia il simbolo di una certa forma di laicismo. A Nizza si è ripetuto quel che è successo a Parigi e Bruxelles. Il terrorista Mohamed Lahouaiej Bouhlel aveva precedenti per reati minori e a quanto pare era consumatore abituale di alcol e hashish. Non siamo di fronte a terroristi di origine religiosa, ma davanti a persone instabili, probabilmente arruolate attraverso internet. Siamo davanti a un radicalismo che si è fatto islamista più che di fronte a un islam che si è fatto radicale. Il profilo di questi terroristi è quello di persone che hanno pregato molto o sono andati a lungo in moschea e perciò sono diventati radicali. La narrativa islamista è come una seconda pelle per loro. 

La consapevolezza che siamo davanti a un nichilismo violento più che a un fenomeno di violenza di matrice religiosa non semplifica il problema. Semmai lo complica. Perché controllare gli imam o cercare di evitare la radicalizzazione in carcere è un obiettivo assolutamente necessario, ma insufficiente. Il problema di fondo ha più che altro a che fare con una mancata integrazione. Per questo l’islam europeo ha anche un’importante responsabilità educativa: è l’unico che può trovare la mediazione con il mondo che molti radicali vedono solamente attraverso internet. L’islam istituzionale ha perso capacità di influenza sulla cultura tradizionale magrebina e del Medio Oriente. L’islamista radicale ha perso buona parte dell’abituale relazione che il credente mantiene con la sua comunità.

Insoddisfatti. Una volta esaminati alcuni dei possibili fattori sociali e politici che sono entrati in gioco in quelle ore barbare restiamo insoddisfatti. L’inquietudine, l’ansia, forse anche la paura, ci assalgono. La sfida che questo mistero di male e distruzione pone alla ragione sembra troppo grande. Forse è più facile riconoscere che c’è un nucleo ultimo del problema che è inafferrabile. Come può qualcuno arrivare a convincersi che gli altri sono il capro espiatorio che deve essere sacrificato? Come può l’altro diventare qualcuno di così diverso di cui si desidera solo la morte? È certamente incomprensibile. Dobbiamo umilmente ammettere i limiti della ragione. Ma questo non ci lascia certo tranquilli. 

Nessuno può dimenticare. Non è umano dimenticare questo dolore e questo sconcerto portati dalla Terza guerra mondiale a pezzi. L’unica cosa umana è aspettare, ciascuno lungo il cammino che sta facendo, un motivo, un volto, che permetta di continuare a sperare.

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