Se la vita ci lascia nudi

Davanti alle nostre sicurezze, le nostre case, i nostri cari che scompaiono in dieci secondi di violenza sismica, si alza forte il grido di un "perché". L'editoriale di FEDERICO PICHETTO

La morte che devasta il Centro Italia, sotto le sembianze di un terremoto, porta con sé qualcosa di forse ancora peggiore: l’abitudine al dolore — ben rodata in questi mesi dal terrorismo, dalla guerra e dalle molte crisi dell’Occidente — rischia di non far più sentire alcun dolore al punto che, a poche ore dal sisma, quello che invece si sente sono solo le solite chiacchiere di chi vorrebbe spiegare, accusare, analizzare e — proprio per questa strana abitudine a “cosificare” tutto — perdere l’occasione di stare in silenzio.

Per ritrovare un punto di vista autentico da cui guardare tutto si può però partire dalle lacrime della maestra della scuola elementare di Amatrice davanti all’edificio dove insegna e che adesso giace a terra sventrato, distrutto dalla furia della “terra che trema”. Oppure si possono ascoltare le tante voci di chi, da qualche ora, non ha più una casa, un negozio, un posto di lavoro. Tutte le nostre costruzioni sociali, che ben ci proteggono dalle domande ultime della vita, improvvisamente crollano e ci lasciano nudi davanti alla realtà. La vita, tutta la vita — dal terremoto al collega di lavoro, dalla morte di un amico a un matrimonio che non va come vorresti — ci denuda, ci spoglia delle infinite strutture e difese che non permettono alle cose di incontrarci e di disturbarci. Organizziamo ogni cosa sapientemente, con l’obiettivo di essere tranquilli e lasciati in pace. Ma poi la terra trema, l’esistenza trema. E tutto si fa più drammatico: “dove dormirò stasera?, “che ne sarà di me, dei miei sogni e dei miei progetti?”. L’incalzare delle domande ci fa arrivare, se siamo davvero liberi, fino in fondo: “Chi sono io?”, “Per che cosa è fatta la mia vita?”, “Come si fa a vivere?”.

È in quell’istante, fra le lacrime che accompagnano l’amara scoperta che tutto quello che c’era prima è finito ed è destinato a cambiare per sempre, che emerge il bisogno più grande e più vero dell’uomo: che Tu ci sia, che Io non sia solo. “Tu sei un bene per me” non è uno slogan mondialista da ripetere all’infinito, ma è la scoperta — ultima — definitiva della vita. Io ho bisogno di te per vivere, per uscire dalle macerie, per passare la notte, per ricominciare. Io senza di Te sono nulla, non posso andare da nessuna parte.

Nell’ora della debolezza, quando tutto crolla, riscopriamo così la vera natura del nostro Io. Il paradosso è che non ci sarebbe bisogno che le case si sbriciolino o che gli uomini muoiano per scoprirlo: basterebbe restare umani davanti a tutto e non illudersi di poter fare tutto da sé.

Le migliaia di volontari in fila in queste ore per dare una mano, donare il sangue o aprire le porte delle proprie case agli sfollati, sono il segno di una strada possibile, reale per l’intero paese: la vita, infatti, la si riconquista solo dentro un rapporto, dentro un’amicizia. Ed è di questo che ha bisogno l’Italia, è questo l’unico vero sogno per cui si può ricostruire l’Europa. Il fatto drammatico è che questo dato, pur essendo così fortemente presente nella nostra quotidiana esperienza, sembra emergere solo quando tutto crolla, tutto finisce e la vita ritorna ad essere nuda, vera.

“Sarei certo di poter cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi” diceva Giorgio Gaber. In quest’ora di strazio, e di grida alzate al Cielo, è la compagnia di un Tu il nuovo inizio di tutto, il punto dal quale poter ricominciare a onorare i morti, a curare i feriti, a ricostruire le macerie di tante piccole case pericolanti che poi altro non sono che l’immagine più eloquente della nostra povera esistenza. Tutto, infatti, ricomincia da te, caro edicolante, barista, marito, moglie, figlio, volontario.

Chiediamo che sia possibile, tra le lacrime di queste ore e la rabbia di questi tempi, che ciascuno di noi possa avere, semplicemente, gli occhi per vedere accanto a ciascuno questi “Tu” e trovare — ancora una volta — la pace. La pace vera di chi si sente così amato e voluto da poter perfino ricominciare, da poter perfino tornare a ricostruire. Dentro tutto, attraverso tutto. Perché nessuna notte dura davvero per sempre. E l’alba è lì, nello sguardo che non ti aspetti, ma che ha già cominciato a farti compagnia, a farti ritrovare te stesso e la tua infinita “voglia” di essere vivo.

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