Il cuoco e il politico

Due scene, una Madrid e l'altra a Berlino, per riflettere sul nuovo e il vecchio, anche in politica: non esiste una formula per l'innovazione. FERNANDO DE HARO

Il cuoco e il politico. Il nuovo e il vecchio. Il nuovo ricercato con entusiasmo, con molto desiderio, quasi con ansia. Il vecchio, come un respiro, come un sollievo, ma insufficiente. Due scene. Una a Madrid e l’altra a Berlino. A Madrid, devo intervistare Ferran Adrià di fronte a un pubblico selezionato. Lo chef più famoso del mondo, cinque anni dopo aver chiuso El Bulli, il ristorante che è stato sinonimo di rivoluzione, è ancora circondato da guru della tecnologia, della finanza che attendono di sentirgli dire il metodo per creare il nuovo, per identificare una legge universale da cui nasce la creatività. A Berlino, ore dopo, Martin Schulz, il leader dell’Spd, annuncia le condizioni per il ritorno del vecchio, ovvero l’eventuale accordo con Angela Merkel per riproporre qualcosa di simile alla Grande Coalizione. Respiro perché le parole di Schulz scacciano il fantasma di nuove elezioni in Germania. Sollievo perché torna qualcosa di noto, una formula che implica più Europa e le incertezze vengono cancellate.

Forse il nuovo è solo un gioco per snob? Non sembra a giudicare dalla serietà con cui ascoltano le mie domande e le risposte di Adrià i gestori delle grandi corporation. Hanno trasformato lo chef in un professore di Harvard e i bravi docenti del MIT, che lavorano 16 ore e dormono in ufficio, fanno di tutto per ascoltare la ricetta che ha trasformato una consuetudine, mangiare e nutrire, in un nuovo mondo. Adrià prende 80.000 euro a conferenza, ma le sue risposte lasciano insoddisfatti coloro che cercano una formula generale. La creatività non è continuità o sviluppo, ma non emerge dal nulla, appare in una lunga tradizione, in questo caso, quella di nutrirsi. “Abbiamo fatto qualcosa di diverso, abbiamo portato la cucina al limite, ma si faceva ancora cucina, non era una performance”, ha detto. Lavoro, ore, rinnovo del personale… Sembra difficile trovare il segreto che ha fatto scoccare una particolare scintilla davanti al Mediterraneo, sotto alcuni pini catalani.

L’Ocse ha già evidenziato cinque anni fa, nei suoi studi Skills Strategy and Innovation Strategy, che la capacità di innovare è una necessità strategica. Educatori, neurologi, dirigenti aziendali si interrogano insistentemente sulle condizioni che rendono possibile tutto questo. Si rifiutano di ammettere che il nuovo è una specie selvatica. Finlandia e Singapore, due paesi che fungono da riferimento per i risultati del loro sistema di istruzione, sono fortemente impegnati nelle arti per aumentare la creatività. I pedagoghi di punta indicano che l’obiettivo è potenziare una “educazione critica dello sguardo”. Gli studiosi dei processi cerebrali prescrivono la lettura dei classici per provocare una tempesta nel cervello. E si insiste su una “formazione personale esistenziale” attraverso la lettura, la musica e lo sviluppo della curiosità. 

Ma come si impegna a dimostrare ostinatamente la storia della scienza e della tecnologia, il nuovo emerge lì dove non si stava guardando. Non è strano che Adrià non possa universalizzare il suo talento, la creatività sembra non sottostare a una relazione necessaria tra causa ed effetto. Le 16 ore del professore del MIT nel suo ufficio sono necessarie ma insufficienti. Forse possiamo solo coltivare la terra e, questo sì, aspettare con grande attenzione il momento in cui sorga l’imprevisto. Per non soffocarlo nel nome della grande eredità di un passato pieno di gloria.

Il nuovo viene identificato rapidamente. È più semplice, è più capace di risolvere ciò che fino a quel momento richiedeva un artificio. Anche in politica. Qualsiasi formula di riedizione della Grande Coalizione è migliore della “Coalizione Giamaica” in Germania. Perché i liberali esigevano meno Europa e la retromarcia nell’accoglienza degli stranieri (l’elettore tedesco, davanti alla crisi dell’euro e degli immigrati, ha svoltato a destra e per questo motivo la Cdu ha perso voti). Schulz ha chiesto, per consentire alla Merkel di governare, di assumere una buona parte dell’agenda di Macron. Ciò implica un sostegno ai timidi tentativi di costruire un’Europa più forte: più unione bancaria, più mutualizzazione delle responsabilità fiscali e di bilancio, un possibile Fondo monetario europeo… musica per le orecchie dei paesi del sud dell’Unione. La locomotiva europea, associata alla Francia, è tornata in pista. 

La Grande Coalizione è stata buona, molto buona. Ha garantito un alto tasso di crescita, con un’inflazione sotto controllo. È stato il grande riferimento in un’Europa che andava alla deriva. La Cdu/Csu e l’Spd, le due grandi anime del dopoguerra, raggiungono ancora più del 50% dei voti. Ma si sono trasformate nel vecchio, soprattutto per i giovani che prendono le distanze dai due grandi riferimenti ideologici che hanno reso l’Europa il posto migliore al mondo negli ultimi 60 anni. Non conviene disfarsene. Ma è importante essere consapevoli del fatto che non significano più nulla per molti e che abbiamo bisogno di molta musica, molta lettura e molta formazione esistenziale, almeno per essere consapevoli, anche in politica, delle nostre necessità. La semplice continuità, come dice Adrià, non funziona.

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