Vivere è la nostra strada

Non è lo sforzo di essere buoni che ci rende vivi; è un tuffo rischioso nella vita che produce — si spera — il frutto buono. Perciò vivere, sempre, è la nostra strada. VINCENT NAGLE

Qualcuno mi chiedeva cosa penso del caso di una persona che vuol fare eutanasia e di cui attualmente si sta parlando molto. Ho risposto: “Speriamo che si affermi la vita”. Sono convinto che la vita è l’unico criterio per capire il bene. Una cosa è buona se ci fa vivere, e cattiva se toglie la vita. Riflettendoci su, alla fine ho aggiunto: “Siamo buoni in quanto siamo vivi, non vivi in quanto buoni. Non è lo sforzo di essere buoni che ci rende vivi; è un tuffo rischioso nella vita che produce — si spera — il frutto buono. Perciò vivere, sempre, è la nostra strada”.

Queste considerazioni mi hanno richiamato alla mente due giovani donne che mi sono venute a parlare di problemi analoghi. 

La prima mi ha rivelato di avere delle difficoltà affettive molto serie. “Quando penso a questo problema — mi ha detto — a volte vorrei poter prendere in mano un coltello e tagliarlo via, così da rimuovere il motivo di tanto dolore”. Era come se stesse cercando di separarsi dalla sua vita affettiva per non dover rischiare l’umiliazione di certi comportamenti. L’ho guardata, chiedendomi che cosa desiderasse Dio per lei, e le ho detto: “Dio ha fatto di lei una creatura vivente e vuole che lei viva. Come pensa di vivere sopprimendo i suoi affetti, i suoi sentimenti? Certo, è un grosso rischio. Rischia di cadere in cose biasimevoli. Quello che tocca a lei è scoprire tutto il bene che vuole alle persone, ma per far questo deve includere i suoi affetti, per quanto storti e problematici”.

Mi è venuto in mente la parabola dei talenti che Gesù racconta nel Vangelo. Un re partendo per un viaggio lasciò nelle mani di tre suoi servi enormi somme di denaro; a uno cinque talenti, a un altro due e a un terzo uno. Mentre i primi investirono i soldi e li fecero fruttificare, il terzo nascose il tesoro per non sbagliare. Il suo re reagì male: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglieteli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti” (Mt. 25, 26-30).

La vita che Cristo ci ha dato non la vuole indietro senza che noi l’abbiamo vissuta, senza aver corso il rischio di investire la vita nella vita, nella Sua vita. Sarebbe stato meglio per il servo — come per noi — aver rischiato e fallito e poi essere andati dal re in lacrime, mendicando il suo perdono, invece di non aver rischiato nulla.

L’incontro con l’altra giovane risale a qualche anno fa, in America. Si trattava di una buona cristiana.

Convinta fin nelle ossa che solo Dio è la vita, mi venne a parlare del rapporto con il suo fidanzato, un giovane in gamba che la voleva sposare. Però quando stavano insieme facevano fatica a conservare la castità. La donna non voleva arrivare al matrimonio se non nel modo che piace a Dio. Mi chiese se doveva lasciare il suo fidanzato citando Gesù, là dove dice: “Se la tua mano o il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, anziché con due mani o due piedi essere gettato nel fuoco eterno” (Mt. 18, 8).

È chiaro che Dio voleva e vuole anche questa persona per sé; vuole che il suo matrimonio sia tutto al Suo servizio. Da parte mia non volevo dirle di non preoccuparsi della volontà di Dio, né di lasciare l’uomo che voleva sposarla. Quindi ho citato il Vangelo di Matteo dove Gesù dice: “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. “Pensi — le ho chiesto — di metterti al lavoro per arrivare ad essere buona e perfetta come Lui? Vivi il rischio di questo rapporto con il tuo fidanzato, e se sbagliate vieni da Cristo in pentimento e lacrime, confessando di avere sbagliato. Ormai la via alla casa del Padre sta nel sangue di Gesù. Pretendi di vivere una vita in cui non c’è bisogno del sangue di Cristo? Vivi per la Sua misericordia, cara mia, non per la tua bontà”.

La settimana prossima comincia la Quaresima. Offro questa piccola riflessione per essere aiutato a riscoprire il valore unico della croce di Cristo, da cui scorre il Suo sangue affinché la Sua misericordia ci porti alla vita eterna. Come tornare alla vita? Viviamo per Lui vivendo appieno il rischio di questo investimento di vita, e poi, quando sbagliamo, veniamo a Lui a chiedere il perdono che solo la compie, il dono che solo può darci il Re de re.

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