Il venerdì santo, la vittoria degli sconfitti

"Ho un amico che è ammalato di tumore" ha chiesto un ragazzo a papa Francesco, "perché?". La risposta del papa ci aiuta a comprendere il venerdì santo. GIORGIO VITTADINI

Nel minimalismo della “società senza mistero”, la vita sembra ritmata in bianco-nero: o sei un perdente o un vincente. Come se la vita non fosse una sequenza continua di cadute e di corse a testa alta, di vittorie e di sconfitte, di dolori e di gioie, di successi e insuccessi, dove le chance non sono due, ma continue e quasi infinite. Cosa dire però dei vinti, di coloro per cui l’esistenza sembra riservare solo dolore e mancanza di senso? I morti di tutte le guerre, non i generali o i comandanti, ma i militi ignoti di tutti gli eserciti, gli umili, trascinati a combattere guerre per difendere il loro paese o solo per la cupidigia di ricchi e potenti. Quegli anonimi soldati di trincea immortalati da capolavori come il romanzo di Erich Maria Remarque Niente di nuovo sul fronte occidentale; i tantissimi bambini sacrificati, ben simboleggiati dal protagonista dell'”Infanzia di Ivan” di Andrej Tarkovskij. E poi gli innumerevoli morti di stenti, carestia, epidemie e povertà di tutte le epoche, nei posti più disparati del mondo, a volte dimenticati dalla storia, altre volte immortalati nelle pagine di autori di tutti i tempi, come quella che racconta di Cecilia dei monatti ne I Promessi Sposi. E ancora, tutti i deportati, fatti schiavi fin dall’antichità, costretti a costruire immensi edifici per gli imperatori cinesi, piramidi per i faraoni, a lavorare nelle piantagioni americane di cotone. E gli emigrati di ogni continente, costretti a lasciare il loro paese per sopravvivere, molti dei quali senza fortuna, come i piemontesi morti nel naufragio del Principessa Mafalda del 1927 al largo del Brasile, o come tutta la povera gente che muore oggi, quasi ogni giorno, nel Mediterraneo, nella nostra crescente indifferenza. E chi rimane travolto dalle immani tragedie naturali che il progresso non può fermare: dagli oltre 100.000 morti nel terremoto di Messina del 1908, ai 250.000 dello tsunami asiatico del 2004. 

Per non parlare del dolore anonimo, della sconfitta individuale di chi si trova improvvisamente senza lavoro, o viene colpito da malattie senza scampo, o che deve supportare un suo caro in queste situazioni. 

Che ne è di tutti i vinti della storia, di quel dolore dimenticato di tanti? Che ne è di quel grido immortalato ne I fratelli Karamazov, contenuto nelle parole di Ivan quando ricorda il bambino sbranato dai cani per l’immensa cattiveria del padrone?: “Ascolta: se tutti devono soffrire per comprare con la sofferenza l’armonia eterna, che c’entrano qui i bambini? Rispondimi, per favore. È del tutto incomprensibile il motivo per cui dovrebbero soffrire anche loro e perché tocca pure a loro comprare l’armonia con le sofferenze. […] Finché c’è tempo, voglio correre ai ripari e quindi rifiuto decisamente l’armonia superiore. […] E se la sofferenza dei bambini servisse a raggiungere la somma delle sofferenze necessaria all’acquisto della verità, allora io dichiaro in anticipo che la verità tutta non vale un prezzo così alto”.

Il grido di Ivan non ha mai smesso di vibrare nell’aria della storia. Una domanda urlata a un Mistero troppo grande per essere sondato.

Insieme a questo dramma supremo, qualcos’altro non ha mai smesso di accompagnare la vita degli esseri umani: altri uomini per i quali non solo questi dimenticati non erano dei “nessuno”, ma valevano al punto da sacrificare l’esistenza per loro.

Dai santi anonimi che durante le due pestilenze del secondo e terzo secolo hanno speso la vita per alleviare le sofferenze dei malati, a san Pietro Clavier che passa giorni e notti in viaggio con gli schiavi incatenati, a san Vincenzo, che inventa le forme moderne di assistenza, a San Camillo che umanizza gli ospedali, a san Giovanni di Dio che comincia a guardare come esseri umani i malati mentali, a santa Francesca Cabrini che si dedica agli immigrati in America, a don Orione che passa tre anni tra i terremotati di Messina, a don Gnocchi che conforta i nostri alpini che muoiono nella ritirata di Russia, fino a Madre Teresa tra i diseredati di Calcutta e a tanti missionari nelle periferie del mondo. La storia è anche un mare di carità.

Presi da un grande amore, questi santi, come Cristo, hanno dato la vita per mostrarLo, perché tutti questi anonimi sconfitti della storia potessero intravvedere la speranza dalla croce. E tutto quel darsi da fare per gli altri sarebbe un impotente grido pascoliano di fronte all’uomo vinto dal dolore, se non ci fosse un uomo che ha detto: “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati”.

In questo mondo, la storia degli uomini, nel suo alternarsi di successi e insuccessi, c’è un’armonia nascosta da scoprire. La storia di ciascuno è da vedere in controluce alla storia di Cristo che partecipa alla vita di tutti.

Rimane però un problema. Non tutti sono consapevoli di partecipare a un grande disegno. E quindi?  

“Ho un amico che è ammalato di tumore” ha detto un ragazzo delle medie a papa Francesco durante un’udienza. E ha aggiunto: “Perché Dio chiede una cosa così a un ragazzo della mia età?”. “Ci sono domande a cui non so rispondere nemmeno io. È una cosa misteriosa”, risponde il papa: “Quello che mi aiuta è guardare Dio sulla Croce”. “Perché è misterioso?”, insiste il ragazzo bloccando con la sua domanda il papa che sta per allontanarsi. Francesco si ferma e risponde mettendo un dito sulla fronte: “Con la testa non lo capirai mai. Devi guardare Gesù in Croce”.

Questo è il mistero del venerdì santo, la festa dell’uomo che sembra essere stato vinto dalla vita.

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