Giacomo, un uomo bambino pieno di stupore

5 anni fa tornava al Padre don Giacomo Tantardini. Il cristianesimo per lui era un'attrattiva in azione dentro la storia: "un uomo bambino che non ha mai finito di stupirsi". GIUSEPPE FRANGI

Se c’è una parola che poco s’addice a una persona come don Giacomo Tantardini, morto il 19 aprile di cinque anni fa, è la parola ricordo. Quindi le parole che seguono non vogliono in nessun modo essere un ricordo ma solo un segno semplice di gratitudine, non a lui, così istintivamente ostile ad ogni personalizzazione, ma al Signore che ce/me lo ha messo davanti. Cinque anni fa don Giacomo tornava nelle braccia del Signore. Un giorno triste, perché il vuoto che lasciava in tanti era un vuoto che poteva anche far paura: nonostante il suo sottrarsi sistematico da ogni ruolo e da ogni incarico, la sua fede e la sua intelligenza gli conferivano un’autorevolezza quasi automatica. Impossibile non restare colpiti e affascinati da un uomo, da un sacerdote come lui. Impossibile non guardare a lui come a un punto di riferimento, amato e rispettato. Eppure l’accento ultimo di quel giorno non era stata tanto la tristezza, ma semmai una dolcezza, quasi un’evidenza di paradiso, non sognata ma sperimentata da quello che era il “suo” popolo. Gente segnata da lui, o meglio dal suo amore così fedele e così disarmato per il Signore.

Se “ricordo” è una parola fuori luogo, c’è un’altra parola che invece dice tantissimo di lui: è la parola “attrattiva”. Il cristianesimo per lui era un’attrattiva in azione dentro la storia: “L’attrattiva Gesù”, come suggerisce il titolo di uno dei libri di don Giussani che lui amava di più. 

L’attrattiva ha due caratteristiche. La prima: non segue criteri di merito ma agisce per imperscrutabili preferenze. La seconda: si rende evidente agli occhi degli uomini suscitando sempre nuovi inizi. È fedele, ma mai ripetitiva. Così don Giacomo, che si lasciava guidare, prendere per mano da questa attrattiva, guadagnandone in libertà e in intelligenza sul reale. Credo onestamente che da nessuno come da lui, io e tanti miei amici, abbiamo imparato la pratica e il senso del giornalismo: ci richiamava con decisione all’attenzione al dettaglio, anche come esercizio di umiltà professionale, come pratica quotidiana di sano antinarcisismo; e lo ascoltavamo ragionare con una capacità e larghezza di sguardo che andava sempre al di là degli schemi. Una sorta di santa spregiudicatezza che, stando sempre stretto e innamorato dell’essenziale, lo rendeva libero nel costruire dialoghi con tutti. E non ne intaccava la semplicità pur nell’arditezza delle sue intuizioni.

L’attrattiva ha come esito naturale ed istintivo lo stupore. Si resta stupiti per un dono inatteso e tante volte neanche immaginato. Un dono che supera i meriti e le misure. Per questo, a proposito di don Giacomo, risuonano come belle e giuste le parole che Bergoglio, allora ancora per poco arcivescovo di Buenos Aires, scrisse cinque anni fa per il mensile 30Giorni. Bergoglio era amico di don Giacomo e quando da cardinale veniva a Roma celebrava messa con lui a San Lorenzo Fuori le Mura.

“Così ci chiediamo: che cosa ci ha lasciato don Giacomo?”, aveva scritto. “Quali impronte di lui troviamo nel cammino della nostra vita? Oso semplicemente dire che ha lasciato le impronte di un uomo bambino che non ha mai finito di stupirsi. Don Giacomo, l’uomo dello stupore; l’uomo che si è lasciato stupire da Dio e ha saputo dischiudere il cammino affinché questo stupore nascesse negli altri”.

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