Il “mondo immaginario” di Trump

<!-- p.p1 {margin: 0.0px 0.0px 0.0px 0.0px; text-align: justify; font: 12.0px 'Times New Roman'; -webkit-text-stroke: #000000} span.s1 {font-kerning: none} --> Donald Trump si sta ponendo in un modo piuttosto singolare sul palcoscenico globale. Ma non mancano gli americani che continuano ad appoggiarlo, spiega FERNANDO DE HARO

E se Trump avesse ragione nel far ritirare l’adesione degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, sbattendo la porta in faccia all’internazionalismo catastrofico relativo ai cambiamenti climatici? Beh, sicuramente è eccessivo dire una cosa del genere, il cambiamento climatico c’è. Ma non è una figata che qualcuno sia uscito dal coro e abbia dato un colpo alla casta, alle piagnucolerie burocratiche dell’Onu e a tutto il progressismo globale? Trump non è un conservatore, ma un leader assolutamente postmoderno, un prodotto della società liquida che semina dubbi su quell’ultimo punto fermo che restava alla ragione moderna: la scienza. 

Il tour di visite internazionali del Presidente non è partito dal Messico o dal Canada, come avveniva da alcuni anni, ma dall’Arabia Saudita, per chiudere contratti di vendita di armi nel principale paese del Golfo. È stato così cancellato l’unico successo della politica di Obama in Medio Oriente: l’avvicinamento all’Iran, sempre più disposto ad aprirsi alle riforme, patrocinatore di uno sciismo che consente l’incontro tra Islam e modernità. La “riconciliazione” di Trump con il mondo musulmano è avvenuta nella patria dal wahabismo, la corrente del sunnismo che si sta trasformando nella madrina di tutti i radicalismi che vanno dal nord Africa a buona parte dell’Asia. 

L’ultima tappa del tour di Trump è stata la partecipazione al G7 di Taormina, dove ha distrutto ogni possibilità che, almeno sulla questione climatica, vi fosse una sorta di germe di Autorità mondiale capace di compensare la cessione di sovranità ai mercati (propria della globalizzazione) e la tendenza protezionista. 

L’Accordo di Parigi per la riduzione dei gas a effetto serra, approvato nel 2015, presenta dei problemi. L’obiettivo è quello di far sì che la temperatura del pianeta non salga di più di due gradi alla fine del secolo. Non sono previste quote nazionali di riduzione delle emissioni imposte dall’esterno. Ciascuno dei firmatari è libero di determinare di quanto farlo. E queste riduzioni volontarie, presentate dai paesi firmatari, finora non sono sufficienti per raggiungere lo scopo fissato per il 2099. L’annuncio di Trump aumenta i dubbi sull’arduo cammino intrapreso nella capitale francese. Oltre a ridurre le emissioni (Stati Uniti e Cina sono i due paesi più inquinanti), l’accordo prevede la creazione di un fondo da 100 miliardi di dollari per aiutare i paesi più poveri a sviluppare energia sostenibile. Ora tutto ciò sarà più difficile o impossibile.

Il 2016 è stato l’anno più caldo dall’inizio delle rilevazioni nel 1880. Il livello del mare è salito di 20 centimetri nell’ultimo secolo, la temperatura media è aumentata in tutto il mondo, i ghiacci dell’Antartide e della Groenlandia si sono ridotti, gli eventi meteorologici estremi sono sempre più frequenti, i ghiacciai si stanno ritirando e l’acidità degli oceani è cresciuta. Ma per questo leader postmoderno che è Trump, le prove scientifiche non contano.

Alcuni biografi dell’attuale Presidente degli Stati Uniti dicono che la sua psicologia ha tratti infantili, il che non significa che sia semplice. Non c’è nulla di più ostinato di un bambino o un adolescente impegnato a non riconoscere la realtà. Forse è un segno dei tempi. Ci sono due frasi che si ripetono insistentemente tra gli studenti americani. Una è la sintesi di un certo modo di intendere il mondo: “You are a loser” (Sei un perdente). Molte liti nelle scuole si concludono con questa frase che è forse il peggiore insulto in un mondo in cui il successo è tutto. Trump la ripete spesso. L’altra frase è: “Leave me alone” (Lasciami in pace). Lasciami in pace perché mi arrangio benissimo senza te e senza gli altri, perché posso cavarmela con le mie forze, perché gli altri sono un fastidio. Il Presidente degli Stati Uniti ha vinto le elezioni con un grande “Leave me alone”, che arrivava dal cuore dei centri industriali depressi dalla globalizzazione, dalle ossa di coloro che sono stanchi dell’arroganza di chi vive sulle coste. E questo “Leave me alone” è ciò che gli garantisce un’approvazione dei cittadini pari al 40%, il dato più basso per un Presidente dal 1945. Ma è un dato molto alto se si pensa a come si è comportato nei suoi primi quattro mesi di presidenza. 

La cosa peggiore del Presidente è che semina dubbi sulle poche cose che restano. E lo fa per porsi e porre i suoi seguaci in un mondo privo di complessità, un mondo che non esiste, in cui si può andare avanti da soli. No, Trump non è decisamente una gran figata, come non lo è quella voce che c’è dentro di noi e che ci porta alla solitudine, al dubbio, alle soluzioni irrazionalmente lontane dalla complessità del reale.

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