Cuori sterili e meno figli

Non si fanno più figli, è un dato costante ormai da anni nei paesi occidentali. Secondo CARLO BELLIENI siamo all'eutanasia dell'Occidente. Ma è un problema antropologico prima che economico

Come non essere d’accordo con Gramellini, quando dice (“Perché non facciamo più figli?”, Corriere della Sera del 31 luglio) che la denatalità è un problema? E come non essere d’accordo con lui quando dice che, sì il problema sono le politiche familiari assenti, ma soprattutto è lo harakiri della cultura occidentale? Ci piacerebbe che questo accordo si tramutasse in un progetto e in un cammino, anche se sappiamo bene che proprio di progetti e cammini ormai si è isterilito il nostro mondo, che sa solo correre ai ripari delle crisi, per poi scordarsene, come se le crisi fossero il problema e non ciò che le provoca. 

Già, il mondo occidentale fa harakiri: chi ha più visto costruire una chiesa che in cuor suo definirebbe “bella” nell’ultimo secolo? E chi sa citare un quadro dipinto negli ultimi 100 anni o una scultura, che possa mettere senza arrossire a fianco delle opere di Michelangelo o Policleto? E chi sa citare un’opera di letteratura moderna da inserire nelle 100 opere più nobili e belle della storia umana? Harry Potter? Sentiamo lamenti sulle presunte invasioni di migranti, ma sono loro che invadono l’occidente o è l’occidente che ha perso l’arte di vivere bene in casa propria, e quella di creare civiltà nel mondo lasciando i popoli poveri in balia di se stessi e dei loro sfruttatori, tanto da fuggire in massa?

“L’imperatore Augusto — Gramellini scrive — fu visto battere la testa contro un muro del Senato quando comprese che Roma era diventata così sterile da non essere in grado di sostituire i quindicimila soldati scomparsi nella battaglia di Teutoburgo contro i trisavoli della Merkel, mentre appena due secoli prima era riuscita a rimpiazzare in un batter di ciglia le quasi centomila perdite subite dai cartaginesi, trisavoli dei migranti. Gli eredi di Augusto, concentrati su temi che riguardano la loro sopravvivenza, come i vitalizi e la legge elettorale, di quella dell’Occidente se ne infischiano”.

E l’allerta è grave: un tempo il rinnovo generazionale avveniva 5 volte per secolo; oggi avviene solo 2,5 volte per secolo, diventando un problema non solo di chi ci pagherà le pensioni (bisogna essere orbi se si riduce a questo il problema!) ma un problema di freschezza mentale: in un mondo di vetusti le idee e le opere restano vetuste.

Avevo descritto in uno studio sul Journal of Family and Reproductive Health questa generazione come una goccia di miele che si assottiglia e miseramente si stacca e cade nel vuoto sotto la forza di gravità: esseri isolati come gocce, che sotto l’usura del tempo si assottigliano (nuclei famigliari sempre più piccoli e isolati), si sfilacciano allungandosi (l’allungamento del tempo tra una generazione e l’altra), e finiscono nel nulla. E la situazione non è allegra, tanto più se qualcuno si ostina a non voler vedere. L’European Menopause and Andropause Society mette ben in guardia dallo scherzare su queste cose: rimandare l’età feconda è un rischio grave, altro che peccato veniale: i quarant’anni non sono i nuovi vent’anni, come dal canto suo afferma anche la psicologa femminista Meg Jay.

Già, perché il problema non è far risalire il numero degli spermatozoi, o rinverdire con pubblicità televisive il desiderio sessuale, ma capire perché spermatozoi e desiderio stanno sparendo; il problema non è dare più soldi alle famiglie o alle mamme, ma capire perché ai ragazzi proprio non gli passi per la testa di diventare papà e mamma, tranne che nelle interviste dei centri di statistica. Ma nessuno se lo domanda. Perché questa è la politica, la mentalità occidentale, tutta palliativa: basta metterci una pezza! Mettiamo una pezza ai soldi che mancano da una parte togliendone ad un’altra su basi di sondaggi di opinione, mettiamo una pezza alle dighe che franano quando ne è appena franata una e allora fa notizia, mentre se non fanno notizia, delle falde freatiche ce ne disinteressiamo fino alla prossima calamità (che ci farà scordare delle dighe suddette, però!).

E invece sappiamo, e Gramellini se ne accorge, che non è possibile andare avanti a palliativi; e che l’eutanasia dell’occidente è inarrestabile: mettiamo un pallium, una palliazione, un pannolino calduccio laddove bisognerebbe invece creare una vita nuova, con più slancio, con più curiosità, con più intraprendenza con più rischio (termine censurabile e odioso nella società occidentale assediata dal mito dell’assicurazione e del posto fisso) e più passione. Ma come tutte le pezze messe su stracci rotti, dura poco.

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