Le lacrime benedette

<!-- p.p1 {margin: 0.0px 0.0px 0.0px 0.0px; text-align: justify; font: 12.0px 'Times New Roman'; -webkit-text-stroke: #000000} span.s1 {font-kerning: none} --> Ancora una volta, dopo un attentato, la Spagna si ritrova divisa dalle parole di chi cerca un vantaggio da quanto accaduto. Il commento di FERNANDO DE HARO

Avevamo sperato, come si fa nella sala d’attesa di un medico specializzato in malattie terminali. Avevamo sperato, e non per questo possiamo dirci innocenti, che questa volta fosse diverso. Quasi senza voler vedere le prime pagine dei giornali, e, naturalmente, senza aprire il nostro account sui social network, senza ascoltare gli esperti che, a seconda della convenienza, sostengono gli uni o gli altri. Ma è accaduto ancora quel che è capitato nel 2004. Non abbiamo voluto ascoltare il ministro degli Interni quando pochi giorni fa ha annunciato lo scioglimento della cellula che aveva compiuto l’attentato in Catalogna, quando non era ancora stato arrestato il sospetto dell’orrenda tragedia della Rambla. Non abbiamo voluto ascoltare l’assessore catalano quando ha fatto distinzioni tra i morti spagnoli e quelli catalani. Ora non possiamo più fingere di essere sordi, lo jihadismo ha ottenuto quel che aveva già realizzato 13 anni fa: un danno che non è limitato ai morti e ai feriti. Il danno di non riconoscere che gli unici colpevoli sono i terroristi, il danno perverso di dare la colpa al governo di Madrid, ai musulmani, a qualunque “altro” che non si vuole riconoscere, che si vuole vedere dietro un muro. 

Nel 2004, dopo gli attentati dell’11 marzo, il governo del Pp ha vissuto le ore più strane che un governo europeo abbia mai trascorso perché l’inerzia ideologica gli ha impedito di ammettere, nei momenti chiave, l’ipotesi che dietro gli attentati ci fosse lo jihadismo. Non era conveniente, non era possibile. Per la “bolla ideologica” del Psoe era necessario e conveniente che l’attacco fosse un atto di vendetta dello jihadismo contro la guerra in Iraq. La realtà era, come sempre, più complessa: era stato lo jihadismo, ma a seguito di una decisione presa prima che cominciasse la guerra.

L’ideologia è blindata con il cemento, un materiale su cui rimbalzano bombe e furgoni. L’onda d’urto si moltiplica e dopo le vittime muore la nazione, muore il Paese, muore la società. Perché tutte le parti hanno bisogno di un capro espiatorio. E si smette di ascoltare i morti e i feriti per dar retta solamente alle voci profane, alle voci di partito.

I difensori dell’indipendenza della Catalogna hanno tutta la legittimità di rivendicare la nascita di un nuovo Paese. Ma non dovrebbero essere orgogliosi del fatto che l’attuale Presidente della Generalitat abbia suggerito al Financial Times che la colpa di quello che è successo è di Madrid perché ha inviato meno soldi e non ha lasciato che la polizia catalana ricevesse le informazioni utilizzate dall’Europol. Puigdemont, il Presidente catalano, ha incarnato l’espressione superlativa di questa socializzazione della colpa che viene data a chi già è considerato colpevole di tutto: che si chiami Governo di Madrid, piuttosto che Generalitat, musulmani, migranti… la lista è lunga.

Per il governo della Catalogna, ma in realtà per tutti, sarebbe stato meglio ascoltare Oliver Roy al Meeting di Rimini. Gli jihadisti non sono tali perché musulmani, ma perché costoro, i figli della Catalogna, della Spagna e dell’Europa, sono dominati da un vuoto che li porta a un nichilismo di morte e di sangue. Roy ha proposto a Rimini spazi di spiritualità in cui conoscersi ed essere in grado di offrire ai nostri giovani qualcosa che stia in piedi. Perché è la secolarizzazione, quella del cristianesimo, quella dell’Islam e quella dei laici illuministi, la causa di questo jihadismo.

Avevamo sperato che questa volta fosse diverso. E continueremo a sperarlo. Perché abbiamo pianto per i morti. Benedette lacrime e maledetti muri ideologici. Quelle lacrime, quelle che mancano alla gente di partito, sono un dono. Non solo perché piangendo esce il dolore che si ha dentro, ma perché piangendo ci si rende conto di essere vivi, che la morte ci fa male, questa morte orrenda; che non c’è cosa più importante della vita, che vogliamo affermare più della morte. Benedette siano le lacrime silenziose che davanti a una morte così nera come quella che ci portano gli jihadisti mettono a tacere le brutte parole di partito, che vogliono portare vantaggi a qualcuno. 

Sia maledetta l’analisi ideologica che ci uccide tutti, e che non ci lascia piangere i morti, che vuole disprezzare la nostra compassione per i feriti. Benedette siano le lacrime che ci insegnano l’unico metodo che ci permette di affrontare il male causato dagli jihadisti. Perché nella compassione delle lacrime c’è più politica, più forza di cambiamento che nelle parole maledette pronunciate dai maledetti uomini di partito, che si chiami indipendenza o in qualunque altro modo.

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