Un problema di valori?

Alla Camera di Madrid sono iniziati i lavori della commissione che valuterà l'opportunità di riformare la Costituzione del 1978. FERNANDO DE HARO

Alla Camera di Madrid sono iniziati i lavori della commissione che valuterà l’opportunità di riformare la Costituzione del ’78. Comincia così il dibattito sull’opportunità di rivedere una Magna Carta che compie 40 anni. La Spagna, il più giovane dei paesi europei che non erano sotto la Cortina di ferro, si butta sul divano e si chiede quando una storia di successo è diventata un racconto problematico. Lo smarrimento si spiega, in gran parte, con il fatto che siamo di fronte a un caso pratico del carattere non cumulativo del progresso sociale. La cultura illuminista che sosteneva la Costituzione è scomparsa, ma pensiamo ancora che il diritto o la convivenza siano come l’espansione dell’Universo: una volta conosciuta, non c’è marcia indietro.

La prima sessione di lavori ha fatto capire che potrebbe esserci una brusca battuta d’arresto. Sono intervenuti i tre membri dell’assemblea costituente rimasti in vita e il confronto tra i deputati di 40 anni fa e quelli attuali ha reso evidente quello che abbiamo perso. Il livello dei rappresentanti della sovranità nazionale è diminuito drasticamente. Ma questo non è l’indicatore più decisivo.

Il successo della Costituzione del 1978 si riesce a valutare correttamente quando si guarda alla storia spagnola recente. Per due secoli (dall’inizio del XIX secolo), la volontà di imporre una rivoluzione liberale con pochi argomenti, da parte di alcuni, e la resistenza degli altri ad accettare la libertà come criterio definitivo nella vita pubblica ha reso conflittuale, a volte in maniera sanguinaria, il progetto nazionale. La volontà di superare ciò che era stato sofferto e un incontro hanno generato di fatto l’accordo costituzionale del ’78.

I diritti fondamentali sanciti raccoglievano sostanzialmente i valori condivisi in Occidente. A essi sono state aggiunte alcune conquiste sociali di nuova generazione. Alla fine degli anni ’70 questi valori, apportati da una cultura cristiana e raccolti da quella laica, non erano particolarmente problematici. Solo i socialisti si opponevano a una definizione di libertà religiosa che includesse una menzione esplicita alla collaborazione con la Chiesa cattolica. La scommessa in favore di una laicità positiva fu compiuta perché i comunisti, ancora con un certo peso in quel periodo, la difesero.

Il resto degli articoli, a grandi linee, non è conflittuale. Tuttavia, il modello territoriale, lo riconoscono tutti, non è il massimo. È stata adottata una cattiva soluzione, o l’unica soluzione possibile per soddisfare i desideri dei nazionalisti (catalani e baschi). La Spagna non era configurata come uno Stato federale, né centralista. Al testo della Costituzione non si possono muovere grandi obiezioni, cosa che invece si può fare nei confronti del processo che avrebbe dovuto concretizzarlo. Una Costituzione non è solo testo. È la sua storia: il suo sviluppo normativo, la sua riforma o non riforma, il dialogo che la rende possibile. E questo è quello che non c’è stato. Non sorprende che in questo momento una considerevole minoranza (la maggior parte dei giovani) non si riconosca in essa o che metà degli elettori della Catalogna la diano per assolutamente superata.

Ci sono altri aspetti, insieme al modello territoriale, che mostrano bene questa mancanza di dialogo che ha lasciato rigido il testo costituzionale. I diritti fondamentali, concordati 40 anni fa, sono diventati dalla prima legge sull’aborto (1985), e soprattutto durante gli ultimi 15 anni, un oggetto di controversia. Alcuni difendono i precetti alla lettera, confidando nel fatto che la legge costituzionale mantenga chiarezza attorno a certi valori che non sono più percepiti come tali. Altri, invece, hanno favorito una mutazione costituzionale, senza un dibattito sereno e leale, in modo che i vecchi diritti ospitassero quelli nuovi, anche se erano contraddittori. Il conflitto è sfociato anche dinanzi alla Corte costituzionale.

L’impossibilità di raggiungere un patto di Stato in materia di educazione per decenni è un altro sintomo di una grande incapacità di costruire un consenso. Le attribuzioni proprie dello Stato e la necessaria uguaglianza in questo campo sono state rivendicate da alcuni per giustificare lo statalismo educativo. E la difesa della libertà dei genitori e dell’iniziativa sociale, da parte di altri, ha fomentato una posizione difensiva poco propensa a trovare formule flessibili. Il sistema elettorale si è irrigidito, favorendo partiti lontani dalla vita sociale, vulnerabili alla corruzione.

Per far fronte alla sfida di una metà della Catalogna che vota formazioni indipendentiste si invoca ancora la necessità di rispettare la lettera e lo spirito della Costituzione del ’78. Non lo fa solo il governo, ma questo è il mantra abituale degli intellettuali difensori di un razionalismo giuridico che attribuisce alla legge funzioni miracolose. L’invocazione è frustrante quando le cose sono andate in un altro modo per 40 anni.

Le costituzioni non sono forti se restano costruite per l’eternità sulla cima di una collina. È sorprendente scoprire tanta ingenuità razionalista, specialmente in coloro che, non essendo liberali, avrebbero ragioni per essere molto critici. È la vita, non i testi, a mantenere i valori freschi e fecondi.

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