Come contare davvero in politica

In Spagna e in altri paesi europei c'è l'ansia di far rappresentare le proprie istanze da un partito, come se diversamente non si contasse nulla. FERNANDO DE HARO

Paradossi. La globalizzazione sta distruggendo il concetto e l’esperienza della sovranità nazionale come l’abbiamo conosciuta per tre secoli. I partiti politici del dopoguerra (Germania e Francia), quelli creati con il ciclo di democratizzazione degli anni ’70 (Spagna e Portogallo) e le nuove formazioni emerse negli anni ’90 (Italia) danno segni di affaticamento. Eppure, nella vita sociale, essere per/in/con un partito sembra quasi un’ossessione.

Le anime nobili, i difensori dei grandi ideali, con una sana vocazione storica, avvertono del pericolo dell’irrilevanza politica in assenza di commercio di partito. Storico e realista commercio di partito: voti in cambio di politiche. Non essere riconosciuto dal partito, da nessun partito, non essere in un qualche modo “partito” è identificato con l’insignificanza sociale o politica e produce ansia. Tanto che i movimenti che sono nati negli ultimi anni con l’obiettivo di rinnovare la vita pubblica (15M in Spagna, 5 Stelle in Italia) o protestare contro la politica migratoria (populismi vari) hanno immediatamente adottato la struttura e le pratiche delle vecchie formazioni.

I vecchi e i nuovi partiti ottengono, in un momento di evidente declino, il loro massimo potere. Esisti e sei qualcuno solo se sei capace di far sì che i partiti includano in qualche angolo della loro agenda quelle belle cose in cui credi o che hai portato avanti con il tuo sforzo e sacrificio. La libertà dipende dal fatto che ci sia un politico che difenda “il nostro”. E “il nostro” cessa così di essere qualcosa di nostro per diventare lo spazio che siamo riusciti ad aprire nell’agenda di un partito. Senza aprire uno spazio politico, inteso come lo intendono i partiti, crediamo di non esistere. È il più alto grado di partitocrazia e probabilmente una delle conseguenze del concepire la politica come semplice mediatrice di interessi privati.

L’evoluzione dei partiti negli ultimi anni in buona parte dei paesi europei ha fatto sì che la loro base popolare, il loro rapporto con la società civile, sia diventata sempre meno rilevante. Il fenomeno è stato particolarmente pronunciato in Spagna. Ha finito per imporsi un tipo di formazione che è partito-Stato. Concepita e preparata per catturare il maggior numero di voti, attraverso una mediazione mediatica, il suo unico scopo sembra essere quello di occupare il più ampio spazio possibile dell’Amministrazione con il minor coinvolgimento sociale possibile. La volontà di occupare gli spazi amministrativi finisce per traslarsi alla giustizia, alle organizzazioni educative, alla vita universitaria, alle chiese.

Se la politica è semplice mediazione e ordinamento degli interessi privati, capace di generare da sola la prosperità, è logico che il partito-Stato venga visto come il mediatore o l’organizzazione che può avere più risultati per eccellenza. Questa concezione e l’ansia di essere per/in/con il partito che genera rappresentano un chiaro sintomo di debolezza. Implicano il considerare irrilevante e astorica la socializzazione non commerciale o non amministrativa. I diritti di partecipazione sono identificati con il voto o con il lobbismo. Sicuramente perché non si conosce la capacità di trasformazione che hanno le esperienze sociali di base. O perché le si ritiene irrilevanti. In questo modo, la libertà finisce per essere concepita come qualcosa che viene concesso dall’alto.

In Spagna ci sono ragioni storiche che spiegano la dipendenza dai partito-Stato. È uno dei paesi in Europa in cui i cittadini partecipano di più alle manifestazioni e alle proteste. Non a caso nelle sue piazze è diventata familiare l’espressione “indignati” che è stata poi utilizzata in tutto il mondo. Ma la partecipazione a organizzazioni del Terzo settore o ad attività di volontariato è molto bassa. Dall’inizio del XIX secolo la “rivoluzione liberale” è stata un fenomeno promosso dall’alto e la passività incoraggiata dalla dittatura sembra persistere. Sorprende che in altri paesi, con una struttura sociale molto più ampia, la mentalità clientelare nei confronti dei partiti si sia diffusa.

Ci sarà chi avrà rinunciato a priori alla rilevanza politica. Il tempo mostrerà loro che non c’è un possibile rifugio. Ma per quelli di noi che sono ancora interessati c’è da fare i conti con la storia: ci sono modi di cercare questa rilevanza che ci rendono insignificanti, dipendenti, un facile oggetto di scambio che viene poi scartato. Nelle bilance che misurano fino al più piccolo milligrammo di potere perderemo sempre. Questa debolezza si supera con un’esperienza di rilevanza sociale in atto. È quella che permette di parlare alla pari con i partiti-Stato, partiti che alla fine sono fatti di uomini che stimano anche la libertà reale.

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