I numeri della politica e quelli dell’economia

L'elezione dei presidenti di Camera e Senato ha concluso una lunga fase elettorale. Sulla formazione del nuovo governo tornano a contare i numeri dell'economia. GIANNI CREDIT

“Un passo in più verso l’Armageddon?”. Lorenzo Codogno, oggi docente alla London School of Economics, è stato capo-economista del Tesoro italiano con i governi Prodi-2, Berlusconi-3, Monti e Letta. Nella sua newsletter settimanale, diffusa appena dopo l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, si mostra più che pensoso sulla stabilità politico-finanziaria italiana. Le valutazioni di probabilità che circolano nella City sul futuro governo a Roma sono del resto queste: 35% per un esecutivo “di scopo” Lega-M5s con nuove elezioni ad ottobre o maggio; 35% per un esecutivo di “larghissima coalizione”, istituzionale o unità nazionale; 15%per un esecutivo centrodestra+M5s. Percentuali minime sono assegnate a un governo di centrodestra con appoggio esterno o a una maggioranza M5s+Pd.

I mercati, dunque, non possono non essere preoccupati se l’unica formula di governo italiana conosciuta – e forse a questo punto gradita – dai mercati raccoglie non più di un terzo delle probabilità di vedere la luce. Per ora l’ansia può essere moderata: può cogliere magari qualche leggera differenza fra una Lega in fondo diversa da un Front National o da Alternative fur Deutschland e abituata al governo locale nel Nord Italia (ma in coalizioni ampie di centrodestra); e il profilo del tutto impredicibile dei grillini, populisti anti-sistema, alla possibile prova del governo nazionale. A tutti gli analisti è comunque chiaro che i due partiti – dopo il tatticismo parlamentare esibito all’esordio della legislatura – possono trovare altri e più sostanziali terreni comuni di confronto. E sono esattamente i terreni economico-finanziarii, confinanti con la frontiera dei mercati. In particolare tre: 1) ritorni più o meno retorici a orientamenti “anti-euro”, anche nella versione “moneta parallela”; 2) approcci più o meno pregiudizialmente ostili alla disciplina fiscale (soprattutto sul “reddito di cittadinanza”); 3) propositi demolitivi della riforma Fornero e del Jobs Act.

I numeri sono e restano numeri non solo nelle maggioranze parlamentari ma anche in campo politico-economico: soprattutto quando appena dopo Pasqua il Def è formalmente in agenda per tutti i governi della Ue. La cifra più imponente, per l’Italia, è anche la più critica: 2.256 miliardi a fine 2017, oltre il 132% del Pil. Un “concordato” con la nuova Ue in cantiere non è probabilmente evitabile, tanto più che l’Italia per prima dovrà affrontare la fine della politica “tassi zero” della Bce. Ma anche la finanza pubblica corrente ha davanti a sè scadenze importanti: 30 miliardi di manovra è una prima cifra di consenso sulla legge di stabilità 2019, al lordo di 12,4 miliardi necessari al disinnesco degli aumenti automatici Iva e di 2 miliardi aggiuntivi per i diversi contratti del pubblico impiego firmati negli ultimi mesi.

Lo spread italiano, nel 2018, non tenderà a muoversi su sponde geopolitiche o su qualche report obliquo di un’agenzia di rating. Si muoverà sulle parole usate fin d’ora dai leader che si candidano a governare il Paese: a campagna elettorale ormai finita e con tutti i numeri sul tavolo. Politici ed economici.

Ti potrebbe interessare anche

Ultime notizie

Ben Tornato!

Accedi al tuo account

Create New Account!

Fill the forms bellow to register

Recupera la tua password

Inserisci il tuo nome utente o indirizzo email per reimpostare la password.