Se la Cdp rilancia l’interesse pubblico e nazionale

L'intervento della Cassa Depositi e Prestiti a presidio della rete Tim ha suscitato critiche strumentali, mentre l'Azienda-Italia riscopre l'interesse pubblico/nazionale.  GIANNI CREDIT

In un’Europa nata e cresciuta sul superamento dello statalismo ideologico quanto sul contenimento del liberismo ideologico, la Cassa Depositi e Prestiti italiana può legittimamente intervenire in Tim, in cui il gruppo francese Vivendi sta assumendo un controllo egemonico pur detenendo solo il 27% del capitale. Può farlo, la Cdp, avendo come azionisti il Tesoro e le Fondazioni e utilizzando i flussi del risparmio postale: essendo quindi vincolata al controllo dei rischi e di una redditività (sostenibile e non speculativa) sia nei confronti dei propri investitori diretti, sia verso i propri finanziatori. Può farlo per supportare un impulso definito di politica industriale volto a creare reali moltiplicatori economici per il sistema-Paese: com’è certamente nel caso dell’ipotesi di scorporo della rete tlc di Tim, utile a sviluppare la banda larga per le imprese, le famiglie, il sistema educativo, la Pa.

Lo Stato italiano – attraverso una struttura evoluta come la Cdp – non punta a ri-pubblicizzare la vecchia Telecom Italia, ma a intervenire su una società che controlla un’infrastruttura strategica e non replicabile. Una rete su cui lo Stato italiano – regolatore ultimo del sistema tlc – vuole investire e sul cui destino Tim continua invece a rifiutare ogni confronto. Nel frattempo Vivendi accentua un’attenzione stretta al profitto di breve termine e agli interessi di un gruppo basato fuori d’Italia. Anzi: basato in Francia, il Paese europeo in cui forse è storicamente massima la sinergia fra Stato e grandi imprese nel perseguire l’interesse-Paese.

L’interesse pubblico emerge in modo naturalmente dialettico verso l’interesse di mercato quando questo si muove in termini egemonici. E lo stesso interesse pubblico assume le vesti di “interesse nazionale” da difendere quando la globalizzazione non è più un terreno uniforme di libero gioco competitivo, ma diventa un’arma di concorrenza sleale: principio strumentale di guerra economica. L’Italia del 2018 – dopo almeno trent’anni di mantra liberisti dominanti e di politiche economiche conseguenti – può far fatica a prendere atto che la riscoperta dell’interesse pubblico/nazionale è una priorità politica concreta. A maggior ragione è stata apprezzabile la decisione del premier Paolo Gentiloni: che non ha affatto abusato dei suoi poteri in prorogatio, ma ha anzi avvertito come lo stallo politico possa arrecare danni strutturali all’Azienda-Italia.

La contiguità del dossier Vivendi-Tim con il caso Vivendi-Mediaset-Sky e gli intrecci personali e di affari fra Vincent Bolloré, Silvio Berlusconi e Rupert Murdoch hanno inevitabilmente allungato false ombre sull’intervento di Cdp-Tim. Ma appaiono subito fuorvianti e strumentali i commenti critici che tendono a mescolare i conflitti d’interesse di Fininvest e di Vivendi con un preteso ritorno nocivo della politica in economia. L’Iri nacque contemporaneamente al New Deal rooseveltiano negli Usa come risposta a una grave crisi economico-finanziaria internazionale; sopravvisse a una guerra perduta e contribuì per mezzo secolo in modo decisivo a fare dell’Italia un Paese del G8. Se ne dimentica consapevolmente chi attacca la Cdp quando viene inviata last minute a salvare la rete Tim: mentre attorno sono ancora fumanti le macerie dei fallimenti bancari italiani e globali.

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