Catalogna ostaggio della politica

Sono trascorsi più di tre mesi dalle elezioni in Catalogna, ma permane ancora una situazione di stallo a causa delle scelte politiche. FERNANDO DE HARO

Cento giorni dopo le elezioni in Catalogna, quando non sembrava possibile che la situazione politica potesse peggiorare, la crisi istituzionale e la ferita sociale si sono approfondite. Forse la cosa peggiore è che si insiste con “soluzioni” impossibili che si allontanano dal sentimento della maggioranza dei catalani, che non c’è nessuna riconciliazione all’orizzonte, nessuna strada da esplorare.

Ciudadanos, il partito che ha vinto le elezioni, ha rinunciato a governare la notte stessa del voto, dato che non ha avuto una maggioranza sufficiente. Quelli che potrebbero averla, i partiti che sostengono l’indipendenza, hanno proposto un candidato impossibile, che era fuggito dal Paese per evitare i giudici, e un altro che si trova in prigione. L’unico candidato valido per poche ore, il solo che è stato effettivamente votato, non ha ricevuto abbastanza sostegno dai partiti secessionisti. Evidentemente il movimento indipendentista non forma un blocco monolitico come sembra.

L’arresto in Germania dell’ex presidente Puigdemont, promotore del processo unilaterale d’indipendenza, ha posto fine alla “parentesi” dei suoi cinque mesi in Belgio. Una parentesi che gli ha permesso di schivare il mandato di cattura europeo con cui si chiedeva il suo arresto per aver commesso un presunto reato di ribellione. Salvo sorprese, le autorità giudiziarie tedesche lo consegneranno alla Spagna. Durante questo periodo Puigdemont è stato, dall’esterno, l’unico leader del movimento indipendentista e ha bloccato la creazione di qualsiasi governo in Catalogna che sospendesse o “rinviasse” la Repubblica indipendente. Resta da vedere se, nelle sue nuove condizioni, potrà ancora esercitare questa leadership.

Quella metà di Catalogna (47,4% dei voti e due milioni di elettori) che ha votato a favore delle forze indipendentiste non ha avuto né una secessione, né un dialogo bilaterale per trovare una “soluzione politica”, che era quel che le era stato promesso. Il Governo di Rajoy si è limitato a continuare ad applicare, con un basso profilo, l’articolo 155 della Costituzione. Invece dell’indipendenza o di un negoziato bilaterale c’è un atto del giudice della Corte Suprema, Pablo Llarena, con cui vengono rinviati a giudizio 25 leader del movimento indipendentista, di cui nove (dieci con Puigdemont) resteranno in carcere fino alla conclusione del processo. L’ordine del giudice sostiene che i promotori della secessione sono responsabili di atti violenti. È logico che ci sia un senso di frustrazione tra coloro che hanno partecipato al referendum non autorizzato di ottobre. Non c’è stata nessuna festa, come promesso, né una rivoluzione pacifica.

L’attività parlamentare inesistente di un Parlamento attualmente bloccato e la rinuncia a formare un Governo senza l’approvazione di Puigdemont trasformeranno le decisioni giudiziarie e il dibattito legale intorno alla responsabilità della violenza nei protagonisti assoluti delle prossime settimane. Il risultato elettorale di cento giorni fa richiede questo blocco? I giudici devono necessariamente essere i protagonisti? Metà della Catalogna richiede questa situazione? 

La risposta non è, come molti sostengono, necessariamente affermativa. Un sondaggio del Ceo (Centre D’Estudis D’Opinio) ha mostrato un mese fa che solo il 19% degli intervistati scommette sulla via unilaterale della secessione (sostenuta dalla maggioranza indipendentista del Parlamento). Il 54% rifiuta qualsiasi tipo di secessione. L’attuale modello territoriale è l’opzione con il maggior numero di sostenitori (36,3%). Si tratta di indizi del fatto che il blocco in posizioni di rottura (verso l’esterno e verso l’interno) va contro il popolo catalano, compresa una buona parte degli elettori indipendentisti.

Per troppo tempo il blocco, il divieto di andare incontro all’altro, è stata la regola dominante in Catalogna. È tempo che la società, per quel che le compete, si tolga le catene che i partiti, certi partiti, certi leader, le hanno imposto.

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