Lega-M5s, ritorno al centralismo?

Il contratto Lega-M5s è fortemente lacunoso in due aspetti chiave dello sviluppo del paese, ovvero scuola e università. Per non parlare delle infrastrutture. MAURIZIO VITALI

Per quel che valgono i contratti. Tipo quello di governo del cambiamento. Sì perché i Due scrivono Roma (in 70 giorni di trattativa), ma Uno (dei Due) proclama Toma.

Prendiamo due temi strategici per l’oggi e il futuro del paese. La Tav e l’Ilva. Ovvero l’Italia dentro o fuori il collegamento internazionale est-ovest da Lisbona a Kiev (il cosiddetto corridoio 5) e l’Italia dentro o fuori i paesi grandi produttori di acciaio. Sull’alta velocità Lione-Torino sta scritto “Ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”. Ma poi Ipse dixit: “La Tav non serve, lo spiego io a Macron”. Non servono neanche tutti i progetti infrastrutturali. Neanche quelli nord-sud, stante che l’Italia è il ponte dell’Europa verso il Mediterraneo. E questo ipse dixit a chi lo spiegherà? Sul complesso di Taranto sta scritto una patafiata più lunga, che in sostanza impegna a salvaguardia ambientale, difesa dell’occupazione e promozione dello sviluppo industriale del Sud. Ma Ipse dixit: “Lavoreremo alla sua chiusura”.

Il “contratto scritto” è stato voluto per corrispondere all’interesse per il “cambiamento” dei cittadini, segnatamente di quelli amanti della democrazia telematica di Casaleggio e della democrazia gazebica della Lega.

Al capitolo strategico delle infrastrutture sono state dedicate 4500 battute (spazi compresi) su quasi 125mila del “contratto”, vale a dire il 4%, pari a 75 righe su 2mila e passa.

Le parole invece che ipse dixit sono poche, ma sufficienti a prospettare un Paese gravemente mutilato delle leve strategiche, quella delle infrastrutture innanzitutto, e questo non si sa all’interesse di chi possa corrispondere.

L’altra grande risorsa strategica per lo sviluppo di un Paese, dell’Italia certamente, dovrebbe essere l’investimento sul capitale umano: scuola, università, ricerca, accesso al mondo del lavoro, capacità di attrarre cervelli (oltre che di prestarli), ecc. Dunque, sempre per quel che contano i contratti di governo del cambiamento, lo spazio dedicato al capitale umano è in tutto di circa 10mila battute, pari all’8%. La parte del leone nel documento la fanno i temi verde-Lega della sicurezza e giallo-M5s della giustizia: 20%, seguiti pari merito, con il 18%, dai temi finanziari e fiscali e da quelli del welfare. Non è che un programma di governo si misuri in chili o in numero di caratteri, ma è pur vero che lo spazio che si dedica ai temi è un indicatore dell’attenzione che gli si dà. Insomma infrastrutture e capitale umano non vanno, insieme, oltre un modesto 12%.

Se si fa anche il giochino del conta-parole, si ottengono ulteriori conferme che il grisby, quello che conta, non è lì per i cugini del cambiamento. E’ altrove. La parola capitale umano compare una sola volta, istruzione 3 volte, giovani 6 volte (di cui 3 nel capitolo “Turismo”), studio/studenti 7; invece cittadinanza 15, reati 18, immigrazione/migranti 25, sicurezza 19, fisco/fiscale/tax/tasse 45 volte.

E veniamo ai contenuti principali su scuola e università. Per l’università e gli enti di ricerca ci sono tre questioni principali. Uno: come aumentare la percentuale di laureati, che in Italia è assai più bassa che in Europa? Soprattutto mettendo più soldi per il diritto allo studio e ampliando la fascia degli esentasse. Due: come aumentare i finanziamenti agli atenei statali e alla ricerca? In sinergia con la (erigenda) Banca per gli investimenti e ridefinendo i criteri. Tre: come avere un corpo docenti di qualità? Rendendo meritocratico il reclutamento, eliminando la presenza dei baronati e inserendo strumenti di verifica vincolante dell’effettivo lavoro didattico. L’idea è bastone-controllo e carota-soldi. Mancassero, putacaso, i quattrini, resterebbe il controllo. Come, si vedrà. Inoltre si prevede la creazione di un’Agenzia nazionale della Ricerca, che coordini gli Enti.

Per la scuola le questioni considerate prioritarie sono il precariato, l’attenzione ai disabili e l’alternanza scuola-lavoro. Il precariato va combattuto cambiando i criteri di reclutamento e le graduatorie, legando maggiormente gli insegnanti al territorio. Basta chiamata diretta del docente da parte del dirigente scolastico. Per i disabili si vorrebbe garantire lo stesso insegnante per l’intero ciclo scolastico. Sulla alternanza scuola-lavoro occorrono strumenti di controllo della qualità e pertinenza delle attività proposte. Per la scuola carota poco o niente (di soldi non si parla); bastone-controlli qualcosina in più. Alla fine, anche qui, resta il “controllo”, insieme alla conclamata intenzione di cancellare la renziana “Buona Scuola” e le altre riforme degli ultimi anni. Autonomia? La parola ricorre otto volte nel documento: intesa sia come autonomia regionale, sia come autonomia degli enti sportivi dal Coni; mai intesa come autonomia scolastica.

Peccato. Pensare di migliorare le cose con il controllo dall’alto invece che con l’iniziativa dal basso è un’illusione dal gusto un po’ amaro e dal retrogusto con sentori vagamente giustizialisti e dirigisti. Per quel che valgono i contratti. E soprattutto per quel che conta uno che non è neanche un sommellier: c’è ragionevole speranza che mi stia sbagliando.

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