Se la chiesa vale meno di uno smartphone

È stagione che fioccano le cresime. Ma anche le domande su cosa ne sarà di quei giovani. Infatti la maggioranza di loro non metterà più piede in una chiesa. MAURIZIO VITALI

È stagione che fioccano le cresime. Come tutti gli anni, in tutte le parrocchie di santa romana chiesa. Salvo che, dove il vescovo titolare o i suoi ausiliari non ce la fanno in maggio causa intasamento del calendario, si riparerà a settembre (ma è una minoranza). La cresima è un sacramento che ricevono praticamente tutti quelli che sono stati battezzati. Per esempio, per stare alla diocesi ambrosiana che è la più popolosa del mondo, sabato scorso decine di migliaia di ragazzini hanno riempito lo stadio di San Siro a Milano in una bellissima celebrazione con l’arcivescovo. Comincia o finisce la vita cristiana libera, l’avventura verso la maturità?

È anche stagione che fioccano, ma molto meno numerosi, i matrimoni. Quelli in chiesa, meno ancora. In un paesotto della stessa più popolosa diocesi del mondo di cui sopra, ha fatto notizia nelle cronache locali il matrimonio di due cinquantenni celebrato in un centro commerciale. Intendiamoci, la decisione fa tenerezza e simpatia: i due si erano incontrati, conosciuti e innamorati nel reparto salumeria. In mancanza d’altro: il centro commerciale come rifacimento artefatto del paese/parrocchia, e il reparto salumeria come una famiglia: per dire quanto è pulsante il cuore e quanto dolce e tenace la necessità di aggrappare a un punto accogliente il proprio desiderio e, in qualche modo, il proprio destino. Ma per dire anche quanto inadeguato è il luogo e il contesto rispetto a una vita adulta, una salumeria rispetto al bisogno di infinito e di eterno.

Dalla chiesa al centro commerciale è la parabola del nostro tempo. Ma: com’è che dalla cresima in chiesa si finisce a sposarsi in salumeria?

La cresima è il sacramento che segna il passaggio dall’infanzia ricettiva all’esistenza libera. Comincia ad entrare in gioco significativamente il fattore libertà. E’ una lotta che si annuncia per i soldatini di Cristo. Il Car, Centro addestramento reclute, è durato quattro-cinque anni di catechismo, per tutti, e di frequentazioni oratoriane almeno per alcuni. Sudati con le loro pettorine multicolor nel calore del Meazza, insieme ai ragazzini, migliaia di catechiste, generose mamme e nonne, centinaia di preti, animatori ed educatori cosiddetti, generosi ragazzi che hanno dato l’anima, spesso, per trasmettere un messaggio cristiano, piantare un seme. E poi?

Non vedranno, ahimè, un gran raccolto. Una minoranza di quelle decine di migliaia proseguirà a frequentare le adunanze e i giochi in oratorio, per un po’, chissà. La maggioranza non ci metterà più piede.

Sicché la gioiosa e bella celebrazione di San Siro ti trasmette gioia di una promessa che l’adolescenza è, e insieme la tristezza di una specie di festa di addio al celibato. Difficile che un buon educatore non provi dolore e non sia, da questo dolore, costretto ad educarsi lui stesso.

La comunicazione del messaggio cristiano, suprema opera educativa, è impresa di Sisifo. Il messaggio ha da rendersi udibile in un contesto che non solo non lo asseconda ma lo confonde in un assordante rumore di fondo fatto dai più disparati e contraddittori richiami di mode, luoghi comuni, sudditanza al potere per mancanza di autorità reale.

E’ un gioco delicatissimo di libertà chiamate ad incontrarsi dentro e oltre questo casino, proprio dove c’è l’umano. L’educatore è chiamato ad essere veramente leale con la tradizione che deve trasmettere come vita e non come sole regole e nozioni; non ha ricette né escamotage per sfangarsela, vale solo l’attrattiva incommensurabile che trasmette, se la trasmette, per testimonianza. Testimonianza di una fede che c’entra con la vita. E la libertà dei ragazzini chiamati ad essere veramente impegnati con una proposta mentre tutto il contesto sociale, dalle canzonettacce di un Rovazzi alle ore di gioco programmato come un’ingessatura della santa esuberanza, allo smartphone appena conquistato, lo ostacola, come pure, assai spesso, il contesto familiare, sprovveduto succube del bombardamento conformista e omologante del potere.

Nello schema organizzativo delle parrocchie, all’età della cresima, la catechista tardona esce di scena e subentrano i giovani rampolli “educatori”, che sono dei generosi e bravi ventenni, più o meno. Si trovano sulle spalle la responsabilità di costituire per i ragazzini delle scuole medie un punto di riferimento che inizi a mostrare la pertinenza della fede con la vita e apra il percorso di una verifica nella realtà. Non sempre sono adulti nella fede: c’è anche chi va a messa la domenica quando gli pare, chi neanche si sogna che la fede giudica la vita (lavorativa, affettiva, sociale): mica colpa loro, di solito non glielo hanno insegnato. Gaio, generoso giovanilismo in brodo di coltura nichilista: materia di riflessione per i consigli pastorali, qui non bastano le righe a disposizione. Qui ci basti considerare che la speranza è in un “fortunato incontro” che batta in breccia tutto l’inghippo sopra descritto. Succede, oh sì che succede. Che sia la catechista tardona o il giovane gaio. Da lì, solo da lì, si può e di deve ricominciare.

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