Europa, dove vai?

La crisi migratoria non solo pone in evidenza la debolezza politica dell'Europa, ma mette allo scoperto un'insicurezza esistenziale. L'editoriale di FERNANDO DE HARO

L’Aquarius e le navi italiane che l’accompagnano hanno attraccato a Valencia, dopo che il governo del socialista Pedro Sánchez ha accettato di accogliere i 630 migranti recuperati in mare. Mentre le navi si stavano avvicinando alla città, nelle ore precedenti all’arrivo circa mille subsahariani venivano raccolti davanti alle coste andaluse. Da qualche mese, nel sud della Spagna c’è un Aquarius ogni poco tempo. Fino allo scorso maggio, gli arrivi si sono duplicati rispetto all’anno passato e, secondo alcune stime, sono arrivati 8.300 migranti in cinque mesi. Il primo dovere è recuperare dall’acqua quelli che stanno per soccombere: garantire frontiere sicure non significa lasciar morire delle persone. Se l’Europa rinunciasse a essere Europa, se l’Europa rinunciasse a proteggere concretamente la dignità di ogni persona, non sarebbe quel paradiso in cui molti desiderano entrare.

La rotta che prima portava all’Italia ora si dirige verso la Spagna. Il numero dei migranti arrivati sulle coste italiane nel 2018 è diminuito dell’80 per cento. Negli ultimi mesi gli arrivi si sono ridotti considerevolmente in seguito al discutibile accordo dell’Unione Europea con la Libia per chiudere “la via italiana”. I Paesi del Sud Europa hanno parecchie ragioni per lamentarsi dello scarso appoggio e aiuto ricevuti dagli altri Paesi dell’Unione. E’ stato detto nel vertice dello scorso gennaio a Roma e ripetuto nel recente incontro dal francese Macron e dall’italiano Conte: questa è una questione che riguarda tutti. Ciò non significa affatto che si possa giustificare quanto fatto da Salvini: negare l’attracco all’Aquarius per battere un pugno sul tavolo. I 630 dell’Aquarius non potevano né dovevano essere utilizzati come arma politica. La crisi migratoria è qualcosa di molto serio, però non sono i rifugiati e i migranti economici quelli che ci hanno messo in crisi: loro semplicemente riflettono la crisi politica, culturale ed esistenziale che vive l’Europa. Se l’Europa rimanesse unita e condividesse un progetto, vi sarebbero risorse istituzionali per dare risposte alla sfida migratoria con più intelligenza e con più efficacia. La soluzione non è facile, ma un’Europa diversa potrebbe trasformare una sfida in una opportunità.

In effetti, le istituzioni europee, il Parlamento e la Commissione, hanno approvato alcune misure che sarebbero molto utili se il Consiglio le approvasse. Il Parlamento ha insistito sulla necessità di riformare il sistema di asilo e di modificare il Trattato di Dublino III (2013). Questi accordi stabiliscono che i richiedenti vengano esaminati nel Paese di primo arrivo. La Camera europea ha puntato su un sistema di quote e di redistribuzione che potrebbe essere impiegato anche per i migranti economici. E’ evidente che i Paesi di frontiera devono ricevere un aiuto maggiore ed è altrettanto evidente che parte della soluzione passa da un grande Piano Marshall per l’Africa. Buona parte delle morti nel Mediterraneo potrebbero essere evitate con visti per cercar lavoro della durata di tre mesi, con l’obbligo di tornare a casa se non si è trovato lavoro. Un migrante illegale potrebbe impiegare i 4mila/6mila euro che paga alle mafie per arrivare alle coste spagnole. Con mille euro potrebbe andare in un Paese europeo e cercare fortuna entro un certo lasso di tempo.

L’Europa è vecchia, l’Europa necessita sangue nuovo. Tuttavia, questa e altre soluzioni non si possono avviare, perché l’Europa è divisa e non ha la sufficiente tensione ideale per essere veramente realista e pratica. La riforma del sistema di asilo si è bloccata nel Consiglio Europeo della fine del 2017 e farà probabilmente la stessa fine in quello della fine di giugno. La paura dello straniero dei vecchi Paesi dell’Est, con l’appoggio dell’Austria, è troppo grande. Quelli che furono stranieri e quelli che ora hanno meno stranieri non vogliono saperne dei migranti.

La crisi migratoria non solo pone in evidenza la debolezza politica dell’Europa, ma mette allo scoperto un’insicurezza esistenziale. Abbiamo paura degli immigrati e vogliamo blindare il nostro grigio paradiso di benessere perché non siamo sicuri, perché la nostra identità è liquida: non sappiamo di cosa siamo certi, non sappiamo chi siamo. Al di là di una certa prosperità, tutto è gassoso. Le personalità forti accolgono, imparano, uniscono, quelle insicure si difendono, tentano di proteggersi. Si può cercare di controllare il meticciato di civiltà, ma non lo si può frenare.

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