Lavorare ognuno, lavorare meglio
Il Movimento 5 Stelle si rifà sempre di più alla vecchia logica anni 70 del Pci e della Cgil, ma cambiare è possibile

Con il rilancio dello slogan “lavorare meno, lavorare tutti” è ormai quasi completa la riscoperta in versione M5s dell’intero armamentario ideologico-politico della sinistra Pci-Cgil in campo economico. Il mantra di politica del lavoro è stato del resto rispolverato da Pasquale Tridico: il pensatore del “reddito di cittadinanza” nominato da poco presidente dell’Inps. C’era non poco “reddito a prescindere” – distribuzione di deficit pubblico – anche nelle decisioni di politica economica degli anni 70: nella “fiscalizzazione degli oneri sociali”; nell’idea che la previdenza pubblica dovesse funzionare più da ammortizzatore sociale per l’oggi che da fondo pensione per il domani; nella “scala mobile” che avrebbe dovuto proteggere il “salario-variabile indipendente” e invece moltiplicava l’inflazione importata con gli choc petroliferi. È lì, fra l’altro, che comincia a gonfiarsi il debito pubblico italiano, oggi insostenibile palla al piede dell’Italia nella Ue.
Negli anni del “boom” e poi dello “sboom”, per la verità, non era scorretto affermare che “uno valesse uno” nella definitiva industrializzazione del Paese alimentata dall’immigrazione interna. Nelle grandi catene di montaggio gli ex braccianti erano figure lavorative standard: abbassare l’orario di lavoro (a 40 ore, ma nella Francia mitterrandiana fino a 35 ancora alla fine del secolo scorso) era una ricetta grezza non priva di senso occupazionale oltreché politico-sociale.
Cinquant’anni fa a a Mirafiori la Fiat occupava 50mila addetti effettivamente “intercambiabili”: un “monte lavoro” organizzato in grandi fabbriche fordiste, che sembravano e in parte erano ripartibile fra più operai e impiegati (nei fatti, a differenza di oggi, quel “monte” cresceva grazie al ciclo positivo e coinvolgeva così nuovi lavoratori). Ma se al giro di boa del centenario, vent’anni fa, il gruppo Fiat occupava ancora più di 110mila addetti in Italia, oggi sono meno di 30mila: compresi quelli della Ferrari, che non sono certo intercambiabili come quelli che producevano la 500. Potrebbe forse il Cavallino mantenere i suoi standard di progettazione, produzione e attività competitiva in Formula Uno con una ricomposizione forzata della sue risorse umane, facendo “lavorare meno” chi sa lavorare per la Ferrari, e immettendo altri che non lo sanno?
A Torino, intanto, chi si sforza di far “lavorare tutti” (tutto quelli che possono e vogliono misurarsi con un lavoro produttivo e competitivo) è Francesco Profumo: ex rettore del Politecnico e ministro dell’Università, attuale presidente della Compagnia San Paolo. È lui che sta sviluppando una strategia precisa e prioritaria di impegno della fondazione (la più grande d’Italia con la Cariplo) per la creazione e il sostegno a medio termine di incubatori di imprenditoria innovativa, aperto soprattutto a centinaia di laureati in un largo ambito scientifico-tecnologico. La sua visione è chiara: oggi “creare lavoro” significa creare le migliori condizioni perché ognuno possa valorizzare presto e bene i propri talenti. Più saranno i nuovi imprenditori, più bravi saranno a produrre in Italia beni e servizi da far vincere nella concorrenza globale, più essi saranno anche “sussidiari” ai loro coetanei, creando posti di lavoro per loro: a patto che essi stessi abbiamo formazione adeguata per lavorare in imprese innovative.
(Il presidente dell’Inps deve preoccuparsi d tenere in equilibrio la previdenza pubblica. Sbaglia se pensa di dover utilizzare l’Inps per la politica del lavoro e del welfare, che è invece compito del ministro, attuale vicepremier. E sbagliano entrambi se riciclano idee e strumenti che fallirono anche in un’epoca lontana, che mai ritornerà).
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