La prof sospesa e i tre giorni del kafka

- Maurizio Vitali

L’episodio della docente sospesa di Palermo è un perfetto esempio di come funziona il pensiero dominante. Non quello di Leopardi però

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LaPresse

Brutta storia quando un episodio scolastico finisce in politica. Peggio ancora se la politica è litigio. O, vuoi mai vedere?, wrestling. La faccenda diventa tragicamente kafkiana nel caso della prof di Palermo, Maria Rosa Dell’Aria, sospesa perché alcuni suoi alunni (seconda istituto tecnico, anni 15-16) hanno realizzato, con poche slide e un breve testo speakerato, l’accostamento ieri/leggi razziali fasciste – oggi/decreto sicurezza salviniano. “I tre giorni del kafka” potrebbe giusto essere il titolo di una tragicommedia su quanto successo tra venerdì e domenica (e non è finita).

Primo atto. La catena del ridicolo. Il big-bang è stato scatenato da un tweet-denuncia farlocca di un destrorso nei confronti della prof, la quale avrebbe “obbligato” (ma non è vero) gli alunni a dire che Salvini è come Hitler (e neanche questo è vero). Fa niente. La leghista Borgonzoni, sottosegretaria all’Istruzione, rilancia e ci mette un carico: se è vero, sia radiata vita naturaldurante. Terzo della catena, il provveditore agli studi Marco Anello: il quale rapido e poco visibile sospende e taglia i viveri alla prof. Il reato? Boh. Fidatevi: “Conosco bene le carte, ho agito secondo giustizia e coscienza”, assicura via radio il provveditore. Dicono (ma chi l’ha detto? chi ha visto l’atto?) che si tratti di violazione dell’obbligo di controllo: che per tutti noi voleva dire curare che i ragazzi non si facciano male, non censurare le opinioni, giuste o sbagliate, che provano ad esprimere.

Primo stasimo. Coro: “Ahi sciagura, gli improvvidi censori una grande cacca pestorono. Ecco, il buso è compiuto. Ma vedo accorrere i gran sacerdoti del tacòn”

Secondo atto. Il buso, gli indignati e il tacòn. L’ “alleato” Di Maio (attività produttive) chiede l’immediato reintegro della prof. Il piddino capo Zingaretti raccoglie una marea di firme in difesa della prof. La sinistra tutta insorge. Salvini corre al tacòn: “La prof? Vorrei incontrarla”. “Vengo anch’io”, s’affretta Bussetti, che è pur sempre il ministro “competente”.

Secondo stasimo. Coro: “Ora è d’uopo, e gli dèi lo chiedono, che si ponga mente senza pregiudizio all’opera di quei giovinetti che tanto clamore suscitò. Dite, di che trattasi precisamente? E perché tanto fulmine fu scagliato sul capo della sicula pedagoga?”

Atto terzo. Un po’ di slide. Una cosa giusta nonostante tutto l’ha fatta Pietro Grasso, ex presidente del Senato: ha messo in rete il lavoretto dei ragazzi. Cover: a sinistra “La memoria di ieri” e foto del transatlantico tedesco St. Louis (con quasi mille ebrei esuli dalla Germania nel ’39); a destra “I fatti di oggi” e foto dall’alto di un barcone di profughi. Seguono: titolone del Corriere del 1938 con, “Leggi per la difesa della razza” e a destra foto di Salvini che mostra il cartello con scritto #decretosalvini – sicurezza e immigrazione (nella foto originale accanto a Salvini c’è il premier Conte con lo stesso cartello, che invece qui è stato tagliato. Lo so che a pensar male si fa peccato). Ancora: ieri, cattedre negate agli ebrei e, oggi, censimento dei rom. Ieri: foto di deportati sui tavolacci di un lager e oggi “Ancora ostaggi” (su una nave, titolo di Avvenire). Infine, in due scritte, l’invito a celebrare la Giornata della Memoria “impegnandosi a protestare contro quello che accade oggi” e “non farsi manipolare da una politica nazionalista e xenofoba”.

I ragazzi hanno ragione a cercare di farsi un’opinione ed esprimerla. Torto se sostenessero di aver realizzato una ricerchina storica minimamente plausibile: hanno realizzato con tutta evidenza un pamphlet politico a tesi, con uso di riferimenti storici. Legittimo. Non censuriamo: parliamone con loro.

Esodo. Coro: “Oh infelici ragazzi. Troppi subdolamente s’atteggiano a difensori del vostro libero pensiero; ma essi hanno fatto in modo che voi arrivaste a pensare come ad essi si confà, e come si addice alla loro bramosia di potere”.

La prof ha probabilmente ragione a dire che i ragazzi si sono fatti una loro idea e lei ha solo corretto la forma dell’elaborato. Ma prima, che storia ha insegnato? Che criteri ha offerto? Li ha aiutati ad appassionarsi della ricerca della verità o alla costruzione di un’opinione “corretta”? Insomma, cosa ha più a cuore? Domande – beninteso, non accuse – che anch’essa, come tutti noi, ne più né meno, dovrebbe porsi; o che magari si è già posta.

C’è un contesto generale condizionante. La storiografia italiana prevalente per decenni e decenni nel dopoguerra, e ancor più a lungo nei manuali scolastici che ne sono un derivato, ha adottato il punto di vista azionista, sposato con vigore dai comunisti per interesse e flaccidamente accettato dai democristiani per pigrizia mentale. Esso assumeva l’antifascismo come chiave di volta centrale per leggere non solo il passato, ma anche il futuro della storia italiana e della politica; il principio primo, precedente la stessa democrazia, in quanto posto come sua condizione. Il Pci ci mise i piedi nel piatto, per lavare nell’antifascismo i panni sporchi staliniani, e non solo legittimarsi come forza democratica, ma assumere il ruolo di distributore di patenti di antifascismo e cioè di democrazia agli altri. Questo filone interpretativo è quanto meno obsoleto. È però l’unico cui l’istinto di sopravvivenza di una sinistra senza più contenuti ideali e tuttora priva di una nuova peculiare cultura s’abbarbica alla bisogna. Ha anche buon gioco, rispetto alle grezza inconsistenza delle tesi di estrema destra. Sicché l’anima del Duce trasmigra e si reincarna in Scelba (anni 60), Fanfani-Almirante (70), Craxi (80), Berlusconi (90 e 2000) e finalmente Salvini. Se manca il novello Duce, il re appare biotto come un verme e addio. Gli altri, i moderati dico, non hanno mai pensato che l’interpretazione della storia serva ad alcunché, e si sono culturalmente inflacciditi lasciando che grandi come Del Noce e De Felice, per dire, ma anche Pasolini, riposassero in pace, dimenticati.

E dire che lo studio della storia offre una bella chance. La storia è per sua natura una scienza che richiede di considerare tutti i fattori in campo in un dato momento, in relazione alle coordinate e ai contesti dell’epoca stessa nella loro specificità. Impedisce la generalizzazione ad minchiam, come direbbe il prof. Scoglio, la quale è comodo strumento dell’ideologia che non fa i conti con l’esperienza.

Ma tutto questo non è ancora la questione principale. La questione principale è educativa. C’è o non c’è in chi trasmette sapere la passione per conoscere davvero la realtà? La realtà mi interessa? Come mi ci introduco, come aiuto i ragazzi ad introdurvisi? Come imparo a considerare la realtà in tutti i suoi aspetti e non solo in quelli più immediati, ovvi, conclamati? C’è, in chi è chiamato a trasmettere ai ragazzi il sapere, il desiderio di comunicare non convinzioni ma un metodo corretto e adeguato con cui essi stessi possano sviluppare un pensiero libero e critico?

Se no i ragazzi ci sembrano in gamba e intelligenti perché ripetono quel che già noi pensiamo. O quello che le mille pressioni del pensiero dominante ci induce a credere.

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