Buoni, Cattivi e Craxi

La stagione di Mani pulite ha cambiato l’Italia decisamente in peggio. Meglio archiviarla al più presto e fare i conti con la storia

Il ventennale della morte di Bettino Craxi sembra coincidere con la cremazione del bipolarismo di guerra nato (anche) sull’onda tellurica di Mani Pulite e intriso di giustizialismo. Protagonisti principali della cremazione: il film di Amelio, Hammamet, e la massima carica dello Stato italiano, Sergio Mattarella.

Il presidente incontrerà a febbraio, secondo un’indiscrezione rivelata ieri dal quotidiano La Stampa, la Fondazione Craxi e i famigliari dello scomparso leader socialista. Un gesto inconcepibile fino all’altro ieri.

Il Craxi-uomo della superba interpretazione di Favino ha aperto una braccia nel comune sentire di una parte almeno dell’opinione pubblica. Non si tratta, nell’uno e nell’altro caso, di riabilitazioni o di reiterate condanne, non di tesi in appoggio o contro l’immagine prevalente di Craxi come del Massimo Corrotto del Vecchio Sistema Partitico Corrotto. Si tratta di aperture a una posizione meno pregiudizievole e incarognita, desiderosa di conoscere e comprendere, e poi di farsi un giudizio, che tenga conto il più possibile di tutte le componenti in gioco in rapporto al bene del Paese e della sua gente.

È tempo, in sostanza, di iniziare a compiere un lavoro da storici, e non da lotta politica, non solo su Bettino Craxi ma sulla vicenda italiana dei quasi tre decenni inaugurati, dopo la caduta del muro di Berlino e la fine del comunismo, dalla stagione di Mani Pulite.

Era la stagione in cui a ogni sigla di telegiornale, specie del mattino, ti trovavi col fiato sospeso a sentire chi fossero i pesci caduti nella rete nella notte appena trascorsa, anche solo con una avviso di garanzia che nel clima forcaiolo dell’epoca una sola cosa garantiva: di essere messi alla gogna mediatica e alla fine politica come già colpevoli a prescindere dal futuro processo. L’esito sulla mentalità e sul costume, in capo a un paio d’anni soltanto, fu la sostituzione della Dea Etica alle forze politiche democratiche moderate che avevano costituito la Repubblica italiana dopo la seconda guerra mondiale e governato il Paese. Fino poi ad usurarsi in un degrado da cui non seppero sollevarsi. Curiosamente, uscirono indenni, o quasi, da Tangentopoli, le due estreme, le opposizioni: ex comunisti ed ex fascisti.

Nell’89 l’Italia si era trovata senza valore strategico agli occhi degli Stati Uniti e del sistema atlantico; tutto ciò che era servito prima non serviva più. Di lì a poco, nel 1993, più della metà dei suoi cittadini si trovarono privi di rappresentanza politica. Mentre si invocava il bipolarismo, l’Italia si trovava zoppa, con un solo polo, quello degli ex Pci più ex Dc di sinistra. Un vuoto cui supplì, come supplì, Silvio Berlusconi.

Si aprì il ventennio del bipolarismo forzoso, ostile alla convergenza e proteso allo scontro; incarognito per di più dalla costante incombenza dello strumento giudiziario. Stagione finita. E non sembra avere futuro neanche l’ultima fase, tripolare per l’invenzione di una forza che si è proposta come portatrice nella politica dell’“etica” giudiziaria e della logica antipolitica. Questa idea della politica non solo non fa funzionare bene la pubblica amministrazione, ma non regge neanche, nel tempo, come collante solido di un movimento: vedasi la parabola dei 5 Stelle, dopo la mal riuscita Italia dei Valori di Di Pietro e l’abortita Rivoluzione civile di Antonio Ingroia, che in qualche modo avevano ambizioni simili.

A proposito di etica: gli storici della Chiesa dovranno dirci prima o poi quanto e come le lezioni di etica che certi vescovi, anche importanti, hanno fatto impartire alle star del pool di Mani Pulite dalle cattedre dei seminari, hanno giovato o nuociuto alla teologia morale cristiana. Gli storici dell’economia dovranno pur valutare quanto le paure di essere accusati e le lentezze provocate dall’eccesso burocraticistico di codici anticorruzione abbiano frenato gli investimenti, le opere pubbliche e il Pil.

Forse questo lavoro storico può ora iniziare ad essere compiuto con serenità ed equilibrio. Non si tratta di trovare Nuovi Buoni contro Nuovi Cattivi, o di rovesciare le parti, ribaltare accuse, e compiere consimili manovre. Si tratta, forse, di capire, che proprio lo schema Noi Buoni facciamo fuori Voi cattivi, cioè il manicheismo, è sbagliato e nuoce al benessere di un popolo. Un buon lavoro storico può compiere una seria verifica e darci anche un esempio di quella che Henry Irenée Marrou (grande storico tanto amato dal nostro compianto Giorgio Rumi) chiamava “epokhè”, distacco dall’animosità, sospensione del giudizio. Prima conoscere. Nel suo importante testo La conoscenza storica, scriveva che “storico è colui che, attraverso l’epokhè, sa uscire da se stesso per incontrarsi con gli altri… A tale virtù possiamo dare il nome: simpatia… è impossibile comprendere senza questa disposizione dell’animo che ci rende connaturali agli altri”.

Ma questo vale anche per chi fa un altro mestiere. Per chi soprattutto non vuol perdere la speranza di poter dare un contributo a una (ri)costruzione dal basso. Non so se per questo è indispensabile – come sono propenso a ritenere – fare onestamente i conti con la propria storia. Di sicuro aiuta.

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