Il Papa, una domanda a Dio e un abbraccio al mondo

Papa Francesco ha chiesto a Dio la fine della pandemia di coronavirus impartendo la benedizione Urbi et Orbi e concedendo l’indulgenza plenaria

Dico che nel tempo della pandemia di coronavirus è andato in mondovisione l’avvenimento di Cristo. La sua contemporaneità, il suo esserci, vivo, qui e ora. A Roma, nella piazza San Pietro deserta, alle 18 di ieri 26 marzo, ora vaticana.

I suoi tratti distintivi c’erano tutti.

Innanzitutto l’eccezionalità. La benedizione Urbi et Orbi non si fa ogni due per tre, si fa solo a Natale e Pasqua, nascita e vittoria sulla morte di Nostro Signore. Il crocefisso di San Marcellino non girava per Roma dalla peste di cinquecento anni fa. La piazza San Pietro vuota: mai vista.



Ma queste sono tracce esterne. L’eccezionalità dell’evento di ieri è stata soprattutto la sua evidente corrispondenza al cuore di chi ha potuto vedere e ascoltare. Spero miliardi. Il tono colloquiale, amicale e paterno, del vecchio papa malfermo sulle gambe, sballottato come i discepoli dalla tempesta che scuote la barca, ma fermissimo nel suo stare a poppa, il posto più pericoloso, dove sta Gesù.



Francesco ha parlato dritto al cuore di me, di ciascuno di noi, “smarriti e impauriti, presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa”, ed è impossibile non riconoscersi in quelle parole, sentire lui, il vicario di Cristo, che condivide la nostra condizione. Il suo sguardo ci penetra nel profondo come nessun altro, là da dove gridiamo come i discepoli “siamo perduti!”. Non ci ha fatto la predica. Ha fatto venire in mente papa Roncalli con la sua carezza: “Fate una carezza ai vostri bambini, e dite che questa è la parola del Papa”.

In secondo luogo l’universalità del suo messaggio. Non ha parlato “per i credenti”, ma agli uomini: se parli al cuore, all’umano, parli a tutti. Ognuno poi applichi la sua coscienza e si prenda le sue responsabilità. Cristo accoglie in un abbraccio tutto l’umano. E infatti il colonnato del Bernini è l’abbraccio della Chiesa, e del suo pontefice, alla città e al mondo. Anche con la piazza deserta. Forse di più. E Francesco abbraccia e prega Dio per tutti. Qui corre alla mente un’immagine storica, quella di papa Pacelli, con la braccia aperte come un Crocifisso, tra la folla di una Roma devastata dalla “pandemia” della guerra mondiale e dei bombardamenti dell’agosto del ’43.



Senza abbraccio dell’umano, compassionevole perché segno di quello di Cristo in Croce, la Chiesa si ridurrebbe a un’agenzia per il culto. Invece su quella barca con Gesù a poppa, richiama il papa, “ci siamo tutti”. Apparteniamo alla stessa fratellanza.

Il messaggio, poi, ha raggiunto chi l’ha seguito come una presenza paterna, dolce e autorevole al contempo. Distinguibilissima nella nostra società che ha respinto e liquefatto l’auctoritas. Conciandosi come si vede. Il padre non è protettivo, richiama il figlio per ridestare il suo io, la sua personalità, che impari a stare di fronte alla realtà e non subisca né metta in atto i trucchi del potere, non accetti di mascherarsi. Gli dice: guarda che la tempesta smaschera le nostre false sicurezze, abbiamo lasciato dormire, ignorandolo, chi davvero ci dà forza e vita. Ora diamo un senso a questo tempo presente, cambiamo agenda, facciamo rotta verso di Lui”.

Per cambiare il mondo Francesco non punta sul potere ma sul popolo, el pueblo (auspicabilmente fiel, fedele), sulla gente comune, le persone sconosciute, i compagni di viaggio esemplari che sono “medici, infermieri, commesse dei supermercati, donne delle pulizie, carabinieri e poliziotti, badanti, volontari, sacerdoti e religiose” – l’elenco dettagliato non è casuale.

L’avvenimento di Cristo in mondovisione ha fatto sentire il bisogno del silenzio. Il silenzio non è un vuoto, ma l’accoglienza di una presenza. Comunque condizione dell’ascolto. Ci voleva silenzio per sentirsi dire e ridire, e accogliere, la domanda decisiva, fatta da Gesù dopo essere stato svegliato e aver placato la bufera: “perché avete paura, ancora non avete fede?”.

Io credo che abbiamo bisogno del silenzio come dell’aria, bombardati dall’infinito confusionario cicaleccio di voci e messaggi,  pareri e contropareri. Per andare all’essenziale. Per arrivare a chiedersi come i discepoli: “ma chi è Costui?”  Per una volta in tv è andato in onda il silenzio. Quello del papa, e il nostro con lui, in contemplazione di Gesù crocifisso e  in adorazione di Gesù eucaristia. Accompagnato solo dal rumore della pioggia e qualche stridìo di gabbiani.

Non può essere l’audience il criterio di tutto. Caso mai l’ascolto. E poi chi l’ha detto che il Santissimo, la pioggia e i gabbiani facciano meno audience?

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