Una nuova agenda digitale

Investimenti nell'education e nell'innovazione digitale sarebbero cruciali per l'Italia, come hanno osservato Draghi, Visco e Treu

“La chiusura delle scuole e, nei Paesi dove è stato  possibile, l’utilizzo delle tecnologie informatiche per la  didattica a distanza, hanno inciso sull’apprendimento e sui  programmi di formazione. Pur fra grandi difficoltà, e con il  concorso degli insegnanti, i periodi di forzata permanenza a  casa sono stati per tanti studenti ragione di accelerazione dell’utilizzo degli strumenti digitali”. Difficile non cogliere nelle parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella – ieri per la Giornata mondiale dell’alfabetizzazione – l’eco del “manifesto di Rimini” del Presidente emerito della Bce, Mario Draghi. Al quale, quotidianamente, giungono adesioni non solo di firma all’appello lanciato al Meeting: l’Italia ottimizzi l’utilizzo del Recovery Fund come “debito buono” al servizio di una grande strategia-Paese di education e innovazione digitale.

Ieri è stata la volta fra gli altri, di Tiziano Treu, Presidente del Cnel (un’istituzione prevista dalla Costituzione). L’economista – padre di una rilevante riforma del lavoro – ha sottolineato quanto grave sia il gap digitale che pena­lizza lo sviluppo italiano, nella più generale crisi della produttività del lavoro nell’Azienda-Paese. Secondo l’ultimo rapporto comunitario Desi, solo il 42% degli italiani di età com­presa tra i 16 e i 74 anni, infatti, possiede almeno competenze digitali di base (rispetto al 58% nell’Ue) e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (a fronte del 33% nell’Ue).

Non diversi sono stati argomenti e accenti nel primo intervento post-estivo di Ignazio Visco, successore di Draghi al vertice della Banca d’Italia. “Se il Pil Italiano è tornato ai livello di 30 anni – ha affermato senza mezzi termini Visco, pochi giorni dopo il discorso di Draghi al Meeting – è solo in parte per effetto del Covid: pesa in misura non trascurabile il debole ritmo di crescita dell’economia nazionale fin dagli anni 90”. E la ricetta – di fronte ai rischi di “stagnazione secolare” – non può che essere strutturale:  “L”asset principale su cui investire è la conoscenza – ha raccomandato il governatore – e bisogna poi attuare misure che rimuovano gli ostacoli che frenano l’innovazione del Paese”.

Quasi nelle stesse ore è maturato fra Tim e Cdp il protocollo iniziale per lo sviluppo di una rete tlc nazionale di nuova generazione: un passo in avanti obbligato in chiave pubblico-privato, per costruire una preziosa piattaforma utile alla grande transizione digitale cui il Sistema-Italia è chiamato. Ma è evidente che la strategia non può che essere organica e realmente all’altezza della strategia Recovery fund: focalizzando i grandi obiettivi prima che i traguardi strumentali, per quanto importanti. E su questo versante, nello scorcio finale dell’estate, è difficile ignorare il piano France Relance, annunciato dal premier Jean Castex.

Sei settimane dopo gli accordi di Bruxelles sul Recovery fund Ue, la Francia di Emmanuel Macron ha deciso di puntare 100 miliardi (il 4% del Pil) sulla ricostruzione sostenibile di un output economico che il Covid ha abbattuto dell’11% nelle ultime stime relative a tutto il 2020. Castex ha fissato nel 40% del piano il “debito buono” che Parigi chiederà all’Europa. E ha individuato le aree strategiche d’intervento e le grandi scelte di allocazione delle risorse. Gli orizzonti sono tre: Ecologia, Competitività, Coesione. A ciascuna direttrice è riservato un terzo del 100 miliardi: che – nelle premesse – saranno tutti “investiti” e non avranno in alcun modo natura di sussidio-stimolo congiunturale alla domanda. Nel dettaglio del piano spicca invece la forte proiezione alla transizione digitale e green del sistema delle imprese e la grande attenzione all’arricchimento dell’offerta di opportunità di crescita per giovani studenti e imprenditori.

La Francia ha già fatto esattamente quello che Draghi si è sentito in dovere di sollecitare l’Italia a fare: prima che sia troppo tardi.

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