La guerra che l’Europa sta perdendo

- Fernando De Haro

L’Europa sembra essere sempre in forte difficoltà quando si trova ad affrontare la questione migranti. Una conferma la si è avuta ancora in questi giorni

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Migranti al confine tra Bielorussia e Polonia (LaPresse)

La paura dei migranti ci rende vulnerabili di fronte alla cosiddetta “guerra ibrida” condotta da qualche mese da Putin contro l’Ue attraverso la Bielorussia. Lukashenko, il penultimo dittatore sovietico, non avrebbe mai deciso da solo di creare problemi alla frontiera con la Polonia, il confine esterno dell’Europa, utilizzando i migranti, se non fosse stato spinto dal leader russo. Che, quanto più si impegna nel negare di essere dietro a ciò che è successo negli ultimi giorni nei freddi boschi attorno a Bialowieza, tanto più lo conferma. Putin utilizza lo spettro che dal 2015 percorre il Vecchio Continente, il timore di una “invasione” di rifugiati, per cercare di destabilizzare i 27 dell’Ue. Lo ha già fatto nel 2017 con la disinformazione nel tentativo di secessione della Catalogna, lo fa abitualmente con Russia Today o Sputnik. Da mesi strumentalizza con crudeltà la speranza di iracheni, siriani, afgani, iraniani nella loro ricerca di un futuro migliore.

I conflitti di questo XXI secolo sembrano ogni volta più simili a quelli che abbiamo visto in questi giorni sul confine tra Bielorussia e Polonia. In molti casi non si affronteranno eserciti di due Stati, ma, come in questo caso, un Paese ed entità non statali (organizzazioni terroriste, di trafficanti o narcotrafficanti) che ricorreranno a notizie false, cyberattacchi, sabotaggi o ai migranti per destabilizzare gli avversari.

Il “conflitto grigio” di questi giorni assomiglia a quelli visti al confine tra Spagna e Marocco lo scorso maggio e al confine tra Grecia e Turchia nel marzo del 2020. In tutti questi casi è coinvolto un Paese al quale l’Unione europea ha “subappaltato” il controllo dei migranti. La Spagna, cui appartengono le città africane di Ceuta e Melilla, per regolare i flussi migratori dipende dal fatto che il suo vicino del sud decida di tenere a bada le mafie dedicate al traffico di persone. Una dipendenza che deriva da ragioni geografiche. Nel caso della Turchia non è una questione geografica, la dipendenza è una conseguenza dell’aver “contrattato” nel 2016 i servigi di Erdogan per tenere a bada i rifugiati mediorientali. Non ci sarebbero migliaia di persone che affrontano il freddo e il rischio di morire alla frontiera polacca se proprio Erdogan non avesse utilizzato Turkish Airlines per aprire un’inusuale rotta migratoria.

C’è però una differenza tra quanto successo a maggio a Ceuta e quanto sta succedendo nel villaggio di Kranica. Nella città spagnola si poteva parlare, pur metaforicamente, di un’invasione di civili: nella città spagnola, con meno di 90.000 abitanti, entrarono in poche ore 12.000 marocchini ingannati e usati dal Governo del proprio Paese. I nuovi arrivati rappresentavano più del 13% della popolazione residente in una città separata dal resto della Spagna dal Mediterraneo. Quest’anno dalla frontiera bielorussa sono entrate solo 6.500 persone, la Polonia ha 38 milioni di abitanti e l’Unione europea 500 milioni in totale. I dati sugli arrivi dall’inusuale rotta settentrionale non reggono il confronto con quelli attraverso il Mediterraneo quest’anno: 55.000 dal Mediterraneo centrale, 40.000 per la rotta occidentale e 50.000 attraverso i Balcani

Non ci troviamo quindi di fronte a una crisi migratoria, bensì politica. Putin, strumentalizzando crudelmente relativamente poche persone, può provare a destabilizzare l’Ue perché noi europei dal 2015 siamo attanagliati dal panico di fronte ai rifugiati. La prova è che i 27 non si mettono d’accordo per portare avanti il nuovo Patto sulla Migrazione, presentato da più di un anno e che in realtà ha obiettivi molto modesti. Il progetto è un patto minimale per attuare soluzioni a breve termine. Sebbene contenga elementi positivi, rappresenta un passo indietro rispetto all’accordo del 2015. Per esempio, elimina le quote obbligatorie di accoglienza clamorosamente fallite. Tutto questo accade quando l’Europa nei prossimi 30 anni avrà bisogno, per mantenere il suo stile di vita, di milioni, molti milioni di nuovi lavoratori, che non troverà all’interno dei suoi confini.

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