Lombardia, alla sanità non serve una riforma (ma più sussidiarietà)

- Carlo Zocchetti

C’è bisogno in Lombardia di una riforma del Servizio sanitario regionale? No. Servono però dei correttivi. Ma sempre nell’ottica della sussidiarietà

bollettino coronavirus italia
(LaPresse)

Il Sussidiario ha ripetutamente ospitato contributi a riguardo dei (supposti) pregi e difetti del Servizio sanitario di Regione Lombardia (Ssr). Oggi l’occasione per parlarne ci è offerta dalla pubblicazione (lo scorso dicembre) di un rapporto di Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, Roma) alla quale è stata richiesta (dal ministero) una disamina formale del Ssr lombardo in quanto (trattandosi di una sperimentazione) a distanza di 5 anni necessita di essere valutato dall’autorità centrale. Il compito è stato tecnicamente svolto da un gruppo di lavoro sostanzialmente condotto e governato dalla Scuola Sant’Anna di Pisa.

Al di là delle inevitabili querelle e dietrologie di natura squisitamente politica che sempre si accompagnano alla pubblicazione di documenti di questo tipo (chi vede il bicchiere mezzo pieno: Monti, Commissione Sanità di Regione Lombardia; chi lo vede mezzo vuoto: Magnone, Anaao-Assomed), nel seguito non si vuole entrare nel merito del documento, ma si intende cogliere l’occasione della discussione sul contenuto della legge di riforma lombarda (legge 23/2015) per ragionare attorno ad argomenti di politica e programmazione sanitaria che, benché specificamente riferiti a Regione Lombardia, vanno ben oltre il caso in oggetto.

Cominciamo da una domanda di contesto: c’è bisogno in Lombardia di una nuova riforma (intesa come una modifica sostanziale della legge in vigore)? La risposta è no, non vi è alcun sostanziale motivo di critica all’attuale situazione del Ssr da giustificare l’adozione di una riforma: c’è invece certamente bisogno di alcuni interventi di aggiustamento, necessari sia alla luce delle tante valutazioni dell’applicazione della legge 23/2015 (essendo a tutt’oggi ancora una sperimentazione) che sono state avanzate da diverse parti sia in virtù delle modificazioni richieste dalle problematiche introdotte dalla pandemia in corso. Proviamo ad indicare le linee di lavoro che riteniamo più rilevanti.

Rete ospedaliera. L’ospedale sta sempre più evidenziando l’esistenza di tre peculiarità che ne supportano la mission di oggi: ricoverare le patologie acute, espletare l’attività chirurgica, erogare le prestazioni specialistiche (oltre alla formazione associata a tali compiti). Considerato che ciò sposta attività al di fuori dell’ospedale ne consegue necessariamente una ulteriore riduzione dei posti letto a seguito della diminuzione dei tassi di ricovero (fenomeni peraltro già in corso da diverso tempo).

Inoltre, l’emergenza pandemica (nel presupposto che possa riaccadere in un futuro non lontano) ha messo in evidenza due tematiche nuove: da una parte la necessità di ristrutturare l’accesso all’ospedale (in particolare per quanto riguarda il Pronto soccorso) per tenere conto dell’ingresso di diverse tipologie di pazienti (i potenzialmente infetti, ad esempio); dall’altra (oltre ad una riflessione specifica sulle terapie intensive) l’abbandono (o per lo meno, la limitazione) dell’idea dei posti letto dedicati (a specifici reparti/patologie) e l’adozione del concetto di flessibilità nell’organizzazione dei posti letto di ricovero così da poter meglio far fronte al cambiamento dei bisogni dei pazienti da ricoverare (riconversione dei posti letto).

Rete territoriale. Mentre per il settore ospedaliero è stato proposto (per quanto discutibile) un “modello” di organizzazione (il Dm 70 del 2 aprile 2015), non risulta analogo “modello” per l’organizzazione della sanità territoriale, unanimemente messa sotto accusa (in particolare in Lombardia, ma non solo) per la gestione della pandemia. Questo è certamente l’argomento che presenta gli aspetti più ostici, sia per l’eterogeneità delle problematiche da affrontare (sanitarie, assistenziali, sociali…) sia per l’ampiezza dei servizi da erogare (medicina di base, prestazioni specialistiche, residenzialità e semiresidenzialità, assistenza domiciliare, assistenza sociale, salute mentale, disabilità…) sia per la diversità delle soluzioni adottate nelle regioni.

A chi scrive, alcune delle proposte contenute nella legge 23 appaiono concettualmente adeguate ma bisognose di maggiore implementazione e approfondimento (presidi ospedalieri territoriali – Pot, presidi socio-sanitari territoriali – PreSST, gestione territoriale della cronicità come relazione col paziente e non solo come Pai, Adi, ruolo delle farmacie…), altre richiedono probabilmente una rimodulazione (maggiore ruolo dei medici di medicina generale nella presa in carico della cronicità, migliore definizione del governo ed erogazione delle attività di prevenzione e sanità pubblica…). Per entrambe le questioni il punto di svolta deve ruotare attorno al tema della integrazione ospedale-territorio e del coinvolgimento dei professionisti (medici, infermieri, assistenti sociali, altri operatori sanitari e socio-sanitari…).

In questa direzione il doppio ruolo assegnato alle Asst (polo ospedaliero, polo territoriale) è interessante, ma è da approfondire, da una parte superando le attuali differenze di comportamento dei due settori (con il netto prevalere del solo polo ospedaliero), dall’altra favorendo la collaborazione tra i soggetti di cura (non si tratta solo di erogare diverse prestazioni, ma di favorire la relazione, in senso lato, che caratterizza l’affronto del bisogno del singolo paziente, soprattutto se complesso), e dall’altra ancora comprendendo a pieno titolo nella rete le strutture private, affinché non siano solo erogatrici di una parte delle prestazioni, ma partecipino più in generale al raggiungimento degli obiettivi di assistenza stabiliti dalla programmazione regionale a partire da ciò cui i cittadini hanno diritto.

Ci sono poi due argomenti che interessano entrambe le reti, per quanto con peculiari diversità che qui non possiamo affrontare: da una parte, l’uso della tecnologia, non solo nell’erogazione dei servizi (esempio: valorizzare la telemedicina), ma soprattutto nel favorire l’integrazione tra le attività (fascicolo sanitario elettronico, scambio di dati tra ospedale e territorio, integrazione di sistemi informativi, messa a disposizione delle banche dati per lo studio dei fenomeni socio-sanitari ai ricercatori ed ai portatori di interessi…); dall’altra, la necessità che tutte le parti del sistema si sottopongano alla valutazione esplicita delle performance (di processo, di output, di esito sanitario e assistenziale) non limitandosi al tema del controllo delle prestazioni erogate e dei requisiti di accreditamento, ma affrontando globalmente la questione della qualità in tutti i suoi aspetti (efficienza, efficacia, appropriatezza, sicurezza, controllo…).

E’ possibile mettere sul tavolo anche ulteriori questioni come la ristrutturazione delle Direzioni regionali, la ridefinizione dei territori di afferenza delle Asst (o delle Ats), la precisazione dei compiti delle Ats: sono interventi che possono aiutare se si muovono nella direzione di migliorare la frammentazione che oggi taluni rilevano nella catena di comando, ma non sono queste le innovazioni che faranno fare un eventuale passo in avanti al Ssr. In particolare (ma non solo) non si vede a cosa possa servire, per una regione con più di 10 milioni di abitanti, una eventuale Ats unica: non c’è già la Regione?

Un ultimo pensiero per un tema cui teniamo molto e che deve costituire il filo conduttore delle soluzioni da proporre: evitare di riprodurre a livello della regione l’approccio centralistico che in tanti modi si è espresso (e si sta esprimendo) a livello dello Stato, soprattutto nella gestione della pandemia. Si chiama sussidiarietà: in tutti i modi, le forme e i livelli possibili. Nel pensare alle soluzioni è fondamentale tenere conto delle peculiarità dei territori, delle specificità dei rapporti tra soggetti coinvolti (enti, istituzioni, associazioni…), delle esigenze dei diversi ambiti: non è necessario che le proposte e le soluzioni adottate siano uguali dappertutto, ma è fondamentale (compatibilmente con le risorse disponibili) garantire ai cittadini la migliore assistenza possibile.

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