La Madonnina e quell’io che diventa noi

La Madonnina del duomo di Milano ha bisogno di restauro. Tutti possono contribuire, perché per tutti è tempo di ricostruzione

Fra una settimana, il 7 settembre, Roberto Bolle danzerà per la Madonnina del Duomo di Milano. Lo spettacolo, intitolato “L’Opera Meravigliosa. Roberto Bolle per il Duomo di Milano”, promosso da Intesa San Paolo, è l’evento saliente della campagna di raccolta fondi lanciata per finanziare il restauro e la messa in sicurezza della guglia maggiore, quella che sostiene appunto la Madonnina. Tutti possono contribuire, ricchi e poveri.

L’iniziativa è bella in sé, naturalmente, ma per di più contiene fattori che possono simboleggiare il risveglio di un cuore antico della milanesità religiosa e civile, buona solidale laboriosa e aperta. Quella che ha costruito il Duomo con soldi dei Visconti e dei ricchi aristocratici, con i risparmi di bottegai, artigiani, con i guadagni di ladruncoli e prostitute, e con gli spiccioli risicati di povere vecchiette. Tucc insèma: tanti io che diventano un noi. Un popolo in cui agisce l’arte, certamente. E poi la banca, concepita come tutela e sostegno dell’intrapresa degli uomini: Intesa San Paolo è erede delle Casse di risparmio che hanno accompagnato la ricostruzione economica e sociale del dopoguerra. E la dimensione popolare, come detto.

Un noi che si costituisce e vive perché sotto la stessa protezione; meglio, sotto la stessa Protettrice (tra l’altro l’alabarda che la Madonnina impugna è un efficace parafulmine). Sotto questa protezione si svolge la vita e si svolge il lavoro (“sotta a ti se viv la vita, se stà mai coi man in man”, recita la famosa canzona di Giovannino D’Anzi, O mia bèla Madunina). Questa dimensione religiosa si intreccia nella storia con la dignità civile (senza confusioni né strumentalizzazioni reciproche: in rito ambrosiano). Nel 1848, dopo le vittoriose Cinque giornate, l’alabarda resse il tricolore (cosa che succede ancora adesso in certe feste). Dal 1939 al 1945 rimase invece coperta da un telo grigio-verde per impedire che il brillio dell’oro fornisse un facile bersaglio ai bombardieri. Per ordinanza del Podestà ai tempi del Duce, per tradizione consolidata poi, la Madonnina occupa il punto più alto della città, in presenza diretta o dagli anni 60 tramite una copia posta in cima agli edifici più alti: il grattacielo Pirelli, poi il Palazzo della Regione, infine la Torre Isozaki, che con i suoi 209 metri raggiunge un’altezza quasi doppia del Duomo.

Prima di Bolle, un grande omaggio alla Madonnina fu reso ancora da Giovanni D’Anzi, con una canzone meno nota ma assai significativa. È del 1955. Le macerie della guerra erano state rimosse, ma la ricostruzione era solo agli inizi. La guglia maggiore del Duomo, però, aveva perso stabilità. Con D’Anzi il cuore milanese cantava “per l’amor del ciel, borla minga giò (non cadere) bèla Madonina, resta semper lì a protegg Milan, dora e piscinina” (d’oro e piccolina: come appare a chi la guarda da terra, in realtà la statua è alta 4,16 metri) … E poi, in tempi di prima immigrazione dal Sud Italia, la canzone così proseguiva: “Moeuromm (moriamo) de spavent, tutt Milan el trèma, Napoli e Barés, Sard e Piemuntès, preghen tucc insèma”.

Anche oggi c’è da ricostruire, accogliere e integrare. La canzone è vecchiotta, ma il messaggio è attualissimo. E un po’ di memoria e di attenzione aiutano. Grazie Giovannino D’Anzi, e grazie Roberto Bolle.

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