Draghi, il Sud e la narrazione sbagliata

- Pietro Marzano

La narrazione del Mezzogiorno come divoratore di risorse ha creato molti danni. Il governo è chiamato, con i fondi del Pnrr, a dare al Sud un futuro diverso

Draghi, Von der Leyen
Pnrr Italia, Ursula von der Leyen con Mario Draghi (LaPresse)

Molti anni di ripetuta mistificazione del rapporto tra il Paese e la sua reale consistenza stanno per essere spazzati via. Se la battaglia vaccinale verrà vinta e se il Governo seguirà la strategia della concretezza, come sino ad ora ha fatto, la parte più estrema e rumorosa dell’opinione pubblica anti-qualunque-cosa sarà obbligata a fare i conti con la realtà ed adeguarsi.

È forse la battaglia più importante contro un metodo che ha promosso personaggi e movimenti che hanno assunto la leadership nelle piazze, nei social network e nel dibattito pubblico sostenendo una antitesi irrazionale alle tesi ragionate. I No-Tutto hanno sostenuto che la Tav è un atto criminale, che la Xylella in Puglia era una malattia inventata, che per estrarre il gas non si può trivellare, che le Torri gemelle le ha tirate giù Bush, che ci si cura con i mix di vitamine, che la decrescita felice è l’alternativa alla povertà.

La realtà ha preso tutte queste fandonie e ne ha fatto strage, non prima però di aver offerto un proscenio a chi le ha sostenute. Il tutto con la politica, e i Governi, pronti a blandire la parte di gente caduta in questi gorghi. Il Governo Draghi non ha voluto offrire alcuna sponda e ha imboccato con decisone la via della concretezza e della logica. Senza nascondersi, ma sfidando apertamente le posizioni di una minoranza che affonda le sue convinzioni in una melmosa palude fatta di ignoranza e paura.

Se passerà la linea della logica fermezza, sarà una nuova fase per il Paese. Il confronto con l’opinione pubblica sarà sui risultati e non sulle paure. Se avremo meno morti, se l’economia confermerà la sua crescita, tutti i timori saranno messi a tacere.

Questo stile di governo può essere utile anche ad affrontare i nodi più antichi del Paese. Dalla strutturale incapacità di rinnovare le infrastrutture ai timori di rinnovare la pubblica amministrazione, dalla lotta alla burocrazia all’incapacità di uscire da un perenne clima da rivoluzione incompiuta che il Paese si porta dietro dall’ingresso nell’euro. Temi conditi di paure e che sono stati furbescamente messi da parte dai precedenti governi, afflitti dalla necessità del consenso popolare dei partiti che li sostenevano e perciò inclini ad alimentarsi con facilità di queste paure, facendosene rappresentanti.

Uno dei moloch più tediosi e al contempo dannosi è la narrazione del Mezzogiorno fatta di Gomorra e di macchiette, di crimini e inefficienze che sommati assieme hanno giustificato per decenni la ritrosia ad investire nel Mezzogiorno, non solo da parte delle imprese, ma soprattutto da parte dello Stato. Il terrore di sprecare soldi ha consentito che, dei 4 miliardi circa che è costato il Mose, un paio siano divenuti sprechi e tangenti; che su Expo si siano buttati in sprechi e tangenti centinaia  di milioni di euro; che miliardi siano stati spesi per salvare le banche del Nord-Est; che il Comune di Torino abbia affrontato un fallimento post-Olimpiadi; che opere infrastrutturali come la metropolitana di Parma e tante altre amene iniziative siano finite nelle procure della Repubblica o alla Corte dei conti. Eppure tutto ciò non ha impedito di continuare a riversare, grazie al meccanismo della spesa storica e del cofinanziamento obbligatorio, molti più soldi al Nord che nel Mezzogiorno. Nella sostanza ha prevalso la percezione che nel Mezzogiorno quasi ogni iniziativa sia un inutile spreco.

Draghi, per ora, ha sovvertito nelle sue indicazioni programmatiche questa visione e sta per affrontare una battaglia micidiale. Da un lato, ci sono le indicazioni del Pnrr che impongono di usare i soldi per le politiche di coesione territoriale e, dall’altra, si riaffaccia la tentazione del federalismo fiscale spinto, che ha le sue radici e la sua giustificazione nella narrazione del disastro del Mezzogiorno. Da un lato la logica, che dice che l’incremento di Pil potenziale nel Mezzogiorno può offrire una occasione straordinaria per lo Stato, le sue finanze e per la soluzione del problema di divario sociale nel Paese; dall’altro, la narrazione storica del mostro Mezzogiorno divoratore di denari. Ebbene, in questa lotta tra percezione e realtà che incide con forza anche sulle forze politiche che lo sostengono, Draghi dovrà scegliere una via che porti il Paese fuori dal pantano del dibattito tra i finti realisti, i quali propongono di lasciare a se stesso un pezzo del Paese, e i concreti sognatori che, numeri alla mano, vedono un futuro di crescita forte.

Su questo non ci potrà essere ambiguità e il Governo dovrà assumersi un ruolo forte di guida autorevole e fare piazza pulita di ogni dubbio alla base della scelta che verrà fatta. Del resto a Draghi sono bastati due “sì” ripetuti con chiarezza e senza dubbi in conferenza stampa, per dettare la linea del dibattito sulla necessità della terza dose e sull’obbligo vaccinale.

Per dare al Mezzogiorno un futuro che sia diverso e utile al Paese ne basterebbe uno alla domanda posta dal Pnrr. Ovvero se l’Europa e il Governo credono davvero che sia possibile una convergenza economica nel medio termine tra le diverse aree del Paese, supportata da tassi di crescita in grado di mettere in circolo risorse economiche e sociali, obbiettivi altrimenti impossibili da raggiungere. Se la risposta sarà “sì” le scelte saranno consequenziali e il popolo minoritario del No-Sud, arroccato nel suo ventennio d’oro, sarà spazzato via.

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