L’io ha bisogno di un luogo

L'esigenza di trasformare gli spazi di vita, perché siano più a misura d'uomo, non è nuova, ma con la pandemia sembra essere esplosa

Sguardi, gesti, parole. Tutto nei legami tra persone, e tra persone e realtà, con l’andare dei mesi in pandemia, è messo sempre più alla prova. Solitudine, aggressività, ansia, depressione stanno diventando una brutta compagnia per molti, soprattutto giovani e giovanissimi che, in alcuni momenti, non sanno più “che fare di sé”.

I luoghi virtuali in cui “incontrarsi”, vedersi, scambiare messaggi hanno compensato in parte il disagio del distanziamento. Ma credo che nessuno abbia trovato improprie le virgolette alla parola “incontrarsi”. Non a caso uno dei dibattiti pubblici che da inizio pandemia ha tenuto banco è quello del cambiamento dei luoghi fisici dell’abitare, delle città, piccole e grandi, dei territori extra-urbani, e non solo per via del lavoro a distanza.

L’esigenza di trasformare gli spazi di vita, perché siano più a misura d’uomo, non è nuova, ma con la pandemia sembra essere esplosa. E tornano in auge termini come “borgo” o “rione”, luoghi in cui, come spiega l’architetto Stefano Boeri sul numero di Nuova Atlantide in uscita la prossima settimana, “il concetto di comunità è stato tenuto presente fin dall’inizio nella progettazione”. Boeri fa l’esempio del quartiere Figino di Milano, “un luogo molto vivibile”, in cui “hanno messo una biblioteca al centro”. All’inizio “era stato guardato con diffidenza, ma oggi raccoglie molta soddisfazione da parte di chi ci abita”. A Padova – racconta ancora l’architetto milanese – un recente progetto recupera “l’originaria traccia di un luogo centrale che a volte è una parrocchia, a volte una strada con una quantità di servizi molto importante, a volte è una piccola piazza”. Oppure, un campo sportivo, la cui valenza educativa, sociale e di integrazione è altissima.

Mettere i piedi nel passato non significa rinunciare ad avere uno sguardo sul futuro. Si parla infatti di città aperta che funzioni come un arcipelago costituito da tanti quartieri dotati di tutti i servizi per i cittadini. “Questo permette che al loro interno ci siano soprattutto spazi pedonali e ciclabili, con un sistema di mobilità fluida che si accompagna anche a questi grandi sistemi di verde nel segno della biodiversità. La metropoli-arcipelago è secondo me la sfida dei prossimi anni”, sostiene Boeri.

Il bisogno è quello di una diversa relazione persona-ambiente, in cui vengano recuperati spazi che offrano familiarità alle comunità. E dove, come suggerisce l’antropologo scozzese Tim Ingold, sempre su Nuova Atlantide, l’uomo è chiamato a uscire da “logiche estrattive” verso la natura e la realtà in generale, per mettersi in ascolto, in una relazione reciproca con ciò che lo circonda.

Luoghi del vivere che aiutano le persone a cambiare e che, da queste, sono cambiati.

“I luoghi non sono contenitori indefiniti – sostiene l’antropologa Alessandra Lucaioli -, all’interno dei quali possono anche avvenire dei fenomeni, ma sostanzialmente indifferenti rispetto ai corpi che ospitano e alle pratiche che vi accadono, ma materia viva che plasma le vite degli esseri umani, che inibisce o promuove azioni, interazioni, realizzazioni”.

Mi ha colpito quanto è stato realizzato al quartiere Corvetto di Milano: una serie di iniziative con cui rendere il parco pubblico di zona un luogo vissuto, curato, accogliente. Lo hanno chiamato “Il Giardino dei Desideri”. Tramite un “patto di collaborazione”, coordinato da Labsus (Laboratorio per la sussidiarietà), la comunità scolastica della zona, insieme a diverse non profit e a tutti coloro che frequentano il parco, hanno ripulito il giardino, abbellito le fughe e le crepe dei marciapiedi con resina dorata, appeso decorazioni fatte a maglia, sistemato giochi per i più piccoli e il terreno del campo da calcio. In progetto c’è la manutenzione della recinzione e un’aula didattica all’aperto.

I bambini – dicono le maestre – stanno imparando che prendersi cura dei luoghi comuni è prendersi cura di sé e degli altri

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