C’è un grido tutto attorno a Betlemme: “La donna ha le doglie!”. Non sanno, forse, che quella donna è la (ma)donna: hanno fretta, sono tutti di fretta. Se solo le dessero un po’ di retta, a quella povera donna, tra una contrazione e l’altra Lei direbbe loro che se hai fretta non devi andare di fretta: aumenteresti in maniera considerevole il rischio di arrivare in ritardo. A Betlemme, invece, il mondo abita in una distratta impazienza: tutto di fretta, di corsa, pare tutto urgente.
Giuseppe invece, alla sua bella, confida l’inconfidabile: “Tutti che corrono, madonna mia, e tutti che arrivano comunque tardi agli appuntamenti”. Lui non ha alcuna contrazione se non quella di non aver mai avuto, prima d’ora, così poco tempo per fare così tanto: per dare un tetto alla sua donna e a quel Bambino che, da dentro, già sta iniziando a capovolgere il mondo intero. “Le cose davvero importanti, Giuseppe mio, sono raramente urgenti e le cose urgenti sono raramente importanti: ricordi quando te lo dicevo appena abbiamo iniziato a frequentarci?” È parola di Maria.
La fretta non è mai premura: “Ci siamo! La mia (ma)donna ha le doglie!” va spifferando il carpentiere di Nazareth alla folla sbadata di Betlemme. Lui, a loro, vorrebbe far capire che oggi è la vigilia della festa, la più grande festa che la storia abbia mai conosciuto: Il Cielo sta andando a nozze con la terra. Vigilare, dunque, per festeggiare: nessuna festa si assapora fino in fondo senza essersi presi il lusso di prepararla con la giusta dose di desiderio.
Nel cielo di Betlemme s’incrocia una miriade di odori: della minestra, del radicchio, del pasticcio, della lasagna, dell’arrosto e del torrone. Del pandoro, del buon vino, del sapore della cioccolata. È tutto pronto, ma Giuseppe vorrebbe chiedere loro che senso abbia imbandire una festa così senza conoscere il festeggiato per cui si festeggia: la gente, quand’è di fretta, non pensa dove andare, pensa soltanto ad avanzare di fretta. Che sia il prima possibile: “Perché corri se non sai dove andare, vecchio mio?” Non glielo dice per quel sano pudore che si è cucito addosso in anni e anni del suo lavoro, ma Giuseppe vorrebbe gridare al mondo che la festa è già iniziata in quello spazio angusto ch’è il grembo della sua donna: “Ha le doglie, il bambino sta per nascere: qualcuno mi affitta la soffitta di casa, per cortesia?”
Nessuno ha manco il tempo per prestargli ascolto: pochi, tra loro, si stanno accorgendo che il tempo, qualsiasi tempo, è una perpetua vigilia di un qualcosa che sta per arrivare. “Non perdetevi la festa!” grida l’uomo dietro il bancone del mercato: “Non perdetevi la vigilia!” lo corregge, tra sé, la donna gravida che non riesce più a contenersi la sua bella pancia. C’è in corso una disparità di tempo: i betlemmiti, miei antenati, lo misurano in corsa. Quegli altri due (più uno) lo stan misurando rallentando: “Qui, Mariasantissima, la gente ti presta l’attenzione con dei tassi da usuraio” balbetta Giuseppe mentre, anima fine, le accarezza quella pancia dove, mesi prima, s’era scritto il più grande imbroglio in materia d’amore. La più grande annunciazione di fedeltà: “Mi nascondo nei tuoi sogni, Maria!”. Il caos, da queste parti, è in un semplice groviglio: sono tutti indaffarati ad attirare l’attenzione. Non si accorgono, invece, che devono fare attenzione: a quel Dio che, silenzioso, sta nascendo dentro quella caciara di voci da condominio.
Sono personaggi della vigilia quei due che viaggiano in sella ad un asino. Son la vigilia stessa del Bambino che, giurano, sia sul punto di nascere: “La mia donna ha le doglie: aiutatemi, per favore! Quante volte ve lo devo chiedere?”. Nessuno l’ascolta, non c’è nessuno che riesca a concedergli un metro quadrato di spazio, sono ingordi di tutto: di spazio, di tempo, di pietà. Filano via dritti per il centro della cittadina: “Giuseppe, ci siamo: guarda che sta per venire fuori!”. Lui, la guarda con l’estasi che gli arde nel petto: “Madonnasantissima, sta per venire giù il mondo!” La cala dall’asino, le imbandisce una stalla, le prepara un corredo con fieno e stallatico: “Non distrarti, Giuseppe: ogni attimo può esser decisivo”.
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Giuseppe invece, alla sua bella, confida l’inconfidabile: “Tutti che corrono, madonna mia, e tutti che arrivano comunque tardi agli appuntamenti”. Lui non ha alcuna contrazione se non quella di non aver mai avuto, prima d’ora, così poco tempo per fare così tanto: per dare un tetto alla sua donna e a quel Bambino che, da dentro, già sta iniziando a capovolgere il mondo intero. “Le cose davvero importanti, Giuseppe mio, sono raramente urgenti e le cose urgenti sono raramente importanti: ricordi quando te lo dicevo appena abbiamo iniziato a frequentarci?” È parola di Maria.
La fretta non è mai premura: “Ci siamo! La mia (ma)donna ha le doglie!” va spifferando il carpentiere di Nazareth alla folla sbadata di Betlemme. Lui, a loro, vorrebbe far capire che oggi è la vigilia della festa, la più grande festa che la storia abbia mai conosciuto: Il Cielo sta andando a nozze con la terra. Vigilare, dunque, per festeggiare: nessuna festa si assapora fino in fondo senza essersi presi il lusso di prepararla con la giusta dose di desiderio.
Nel cielo di Betlemme s’incrocia una miriade di odori: della minestra, del radicchio, del pasticcio, della lasagna, dell’arrosto e del torrone. Del pandoro, del buon vino, del sapore della cioccolata. È tutto pronto, ma Giuseppe vorrebbe chiedere loro che senso abbia imbandire una festa così senza conoscere il festeggiato per cui si festeggia: la gente, quand’è di fretta, non pensa dove andare, pensa soltanto ad avanzare di fretta. Che sia il prima possibile: “Perché corri se non sai dove andare, vecchio mio?” Non glielo dice per quel sano pudore che si è cucito addosso in anni e anni del suo lavoro, ma Giuseppe vorrebbe gridare al mondo che la festa è già iniziata in quello spazio angusto ch’è il grembo della sua donna: “Ha le doglie, il bambino sta per nascere: qualcuno mi affitta la soffitta di casa, per cortesia?”
Nessuno ha manco il tempo per prestargli ascolto: pochi, tra loro, si stanno accorgendo che il tempo, qualsiasi tempo, è una perpetua vigilia di un qualcosa che sta per arrivare. “Non perdetevi la festa!” grida l’uomo dietro il bancone del mercato: “Non perdetevi la vigilia!” lo corregge, tra sé, la donna gravida che non riesce più a contenersi la sua bella pancia. C’è in corso una disparità di tempo: i betlemmiti, miei antenati, lo misurano in corsa. Quegli altri due (più uno) lo stan misurando rallentando: “Qui, Mariasantissima, la gente ti presta l’attenzione con dei tassi da usuraio” balbetta Giuseppe mentre, anima fine, le accarezza quella pancia dove, mesi prima, s’era scritto il più grande imbroglio in materia d’amore. La più grande annunciazione di fedeltà: “Mi nascondo nei tuoi sogni, Maria!”. Il caos, da queste parti, è in un semplice groviglio: sono tutti indaffarati ad attirare l’attenzione. Non si accorgono, invece, che devono fare attenzione: a quel Dio che, silenzioso, sta nascendo dentro quella caciara di voci da condominio.
Sono personaggi della vigilia quei due che viaggiano in sella ad un asino. Son la vigilia stessa del Bambino che, giurano, sia sul punto di nascere: “La mia donna ha le doglie: aiutatemi, per favore! Quante volte ve lo devo chiedere?”. Nessuno l’ascolta, non c’è nessuno che riesca a concedergli un metro quadrato di spazio, sono ingordi di tutto: di spazio, di tempo, di pietà. Filano via dritti per il centro della cittadina: “Giuseppe, ci siamo: guarda che sta per venire fuori!”. Lui, la guarda con l’estasi che gli arde nel petto: “Madonnasantissima, sta per venire giù il mondo!” La cala dall’asino, le imbandisce una stalla, le prepara un corredo con fieno e stallatico: “Non distrarti, Giuseppe: ogni attimo può esser decisivo”.
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