Ho avuto un interessante scambio con una mia giovane amica maestra elementare sul tema dell’Europa. Lei mi dice che è molto contenta, non solo del suo lavoro, ma anche della sua vita, dei suoi amici, delle scelte che ha fatto fino a questo momento. In tutto ciò, sostiene che l’Europa non c’entra in alcun modo, non l’ha aiutata in nulla: perché quindi dovrebbe interessarsene?
Da una parte mi colpisce sempre l’estraneità di molto giovani nei confronti di un contesto più ampio di quello personale. Dall’altra, sono ogni volta richiamato al fatto che le loro prospettive sono sempre meno certe e che il loro legame con una comunità più ampia di appartenenza non è più scontato. Questo rapporto deve essere pazientemente ricostruito.
Così è cominciato un dialogo. Le ho fatto notare che sia la mia che la sua generazione hanno una caratteristica che le altre, precedenti, non possono vantare: non abbiamo visto e tantomeno partecipato a una guerra, per quanto una sia deflagrata ai nostri confini all’inizio degli anni Novanta. Vedo un dubbio passare sul volto della mia amica. Del conflitto sanguinoso nella ex Jugoslavia, vista l’età, lei non sa praticamente nulla.
Ma torniamo all’Europa. Dopo una guerra mondiale tanto cruenta, com’era successo che si fosse arrivati a una pace? Schuman e Adenauer capirono che se non si fossero messi insieme per condividere le materie prime dell’Alsazia e della Lorena, il carbone e l’acciaio, la guerra infinta fra Francia e Germania, cominciata nel 1870 e continuata con le guerre mondiali, sarebbe esplosa di nuovo.
“E tutti gli altri Paesi condividevano?”. De Gasperi e i leader di Olanda, Belgio, Lussemburgo, potenzialmente stritolati dal braccio di ferro tra i due grandi Paesi, capirono che il perseguimento della pace doveva essere un tratto distintivo della politica dei loro Paesi.
La mia amica a questo punto appare più partecipe del racconto: “Adesso, con la guerra in Ucraina, i Paesi europei non potrebbero mettersi insieme e condividere un’ipotesi di soluzione da proporre a Putin?”. Si sono sprecati fiumi di inchiostro in questi mesi per mettere in luce la debolezza dell’Unione europea. Ci sarebbe da parlarne per ore, ma a me interessa allargare ulteriormente l’orizzonte e includere altri fattori e altri soggetti in campo. “Soprattutto i Paesi dell’Est Europa, quelli più vicini alla Russia, sono interessati al rapporto con la Nato, che garantirebbe loro una difesa in caso di attacco, più che a quello con l’Unione europea”. Il mondo si amplia e le cose si complicano e si allontanano.
Il passaggio sulla Nato non la convince. “Questo non toglie che gli europei possano trovarsi e ragionare su dei compromessi possibili da proporre…”. Ha ragione. Inoltre, durante la Guerra fredda, la Nato è stata un sistema di deterrenza, non uno strumento di minaccia (vedi ad esempio la reazione con gli euromissili agli SS20 puntati dal Patto di Varsavia sulle capitali europee).
“Ma il nostro legame con gli Stati Uniti deve essere così stretto?”. Dal punto di vista storico, culturale, economico, e non solo, il rapporto tra Europa e Usa rimane molto saldo. Tuttavia, la politica estera dei Paesi appartenenti alla Comunità europea, pur essendo atlantica, è stata in passato meno appiattita su quella americana, mantenendo uno spazio di dialogo continuo con il blocco sovietico. Andreotti fece notare che nel decennio 70-80 in più del 70% dei casi l’Ambasciatore italiano all’Onu votò in modo diverso dall’Ambasciatore americano.
Subito dopo però spariscono i leader europei di peso e ne compaiono di mediocri, quali Giscard d’Estaing, protagonista del fallimento della costituzione europea, che rinunciano a ogni azione di politica estera autonoma dagli Stati Uniti verso la Russia. La politica estera dell’Unione diventa succube della Nato nella crisi jugoslava e nel pensiero sul futuro dei rapporti con la Russia. Viene così dimenticata la prospettiva graduale degli accordi tra Reagan e Gorbacev e dei leader europei di allora per un atteggiamento aggressivo di emarginazione della Russia e allargamento della Nato.
“E nel resto del mondo?” Ritroviamo la stessa miopia in politica estera dell’Unione europea nel seguire le scellerate iniziative americane in Iraq, in Afghanistan, nelle Primavere arabe, in Libia.
“Come possiamo uscire da questo disastro?”. Per l’Ucraina vale la battuta di papa Francesco sulla Nato che “abbaia”: le criminali responsabilità di Putin non sono giustificabili in nessun modo, ma la mancanza di una minima intelligenza diplomatica e di qualunque tentativo di costruire la pace hanno contribuito e contribuiscono all’aggravamento della tragedia.
“Allora, se la costruzione europea è nata per la pace e ha lavorato anni per realizzarla, capisco perché è importante difenderla e parteciparvi”. Mi pare un buon primo passo.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.