Scuola, le 4 E per un programma di Governo

Equità, eccellenza, efficacia, efficienza sono le parole chiave per la scuola. Potrebbero da sole esaurire il programma di Governo dei prossimi anni

Nei giorni a cavallo fra la fine dell’anno vecchio e l’inizio dell’anno nuovo, oltre agli auguri, agli oroscopi e ai menù per le feste, con annessi consigli per smaltire il peso acquistato grazie ai medesimi menù, quasi tutti i giornali contengono articoli del tipo “venti parole chiave per il Governo” “cose da fare subito” e simili. Dopo aver constatato con una certa malinconia ma senza sorpresa che i temi relativi a scuola, università, ricerca, formazione, sono praticamente assenti, ho pensato che potevo fare io un “alfabeto di buoni propositi per l’educazione”, partendo da “autonomia” per arrivare a “zoom”. Ma giunta alla “E” di educazione mi sono fermata, perché mi sono venute in mente quattro “E” che potrebbero, da sole, esaurire il programma di Governo dei prossimi anni (non quantifico il numero per evitare che venga considerato un auspicio politico…): equità, eccellenza, efficacia, efficienza.

Equità – Che la scuola non possa, da sola, risolvere il problema delle disuguaglianze presenti nella società è evidente, ma è altrettanto evidente che non solo non deve aggravarle, ma può fare molto per ridurle. L’indicatore più importante che la scuola italiana oggi non sia equa è dato dal fatto che gli insuccessi scolastici, oltre a essere troppi, sono concentrati in aree territoriali specifiche e colpiscono ragazzi provenienti da fasce deboli di popolazione, con famiglie a basso reddito e scarso capitale culturale, quando non incomplete o addirittura patologiche, sia italiane che immigrate. La soluzione è, innanzitutto, individuare le scuole – operazione che Invalsi sta meritoriamente facendo da tempo – che sono concentrate al Sud e in alcune periferie urbane, e poi intervenire con misure che non sono solo finanziarie. Molte scuole collocate in zone destinatarie negli scorsi anni di cospicui fondi europei hanno ricevuto dei finanziamenti, senza per questo migliorare le proprie prestazioni, e non è detto che i fondi Pnrr non rischino di fare la stessa fine. Servono interventi mirati: insegnanti più qualificati (e incentivati a restare), proposte di tempo libero anche in collegamento con chi già opera nel campo della formazione e dell’aiuto ai ragazzi: associazioni sportive, parrocchie, gruppi del terzo settore, sostegno alle famiglie. È il fattore umano, e non (solo) quello economico che aiuta le persone a uscire dalle situazioni di disagio, attivandone le risorse nascoste.

Eccellenza – Lo metto subito dopo l’equità, perché troppo spesso vengono vissute in opposizione, quasi che una buona scuola non possa essere equa, e una scuola equa non possa essere buona. Chi sostiene questa bizzarra teoria, e non sono pochi, ha pensato di ridurre l’insuccesso abbassando l’asticella, con il brillante risultato che chi aveva un forte supporto famigliare ha continuato a far bene (o è andato a studiare da qualche altra parte), mentre i più deboli, per cui la formazione di qualità rappresenta un supporto fondamentale, hanno invece ricevuto una formazione mediocre, che non li aiuta a far emergere il loro potenziale. Per di più, chi ha in mano un diploma che non certifica nessuna competenza reale (tenete presente i dati sull’analfabetismo funzionale o latente) è uscito dalla scuola immaginandosi che il suo titolo avesse un valore che il mondo del lavoro, cinico e crudele, non gli riconosceva più, e stenta ad adattarsi a un lavoro che considera inadeguato a quello che si aspettava. Questa procedura, che è stata duramente ma in fondo giustamente criticata da molti laudatores temporis acti (è inutile, chi ha fatto il classico negli anni Sessanta è segnato per la vita) si sta pericolosamente estendendo alle università, dove le nicchie di eccellenza, che sono sempre esistite, rischiano di non essere più la cima della montagna, ma un atollo disperso in un mare di vuoto. L’eccellenza è un dovere di chi educa, tenuto presente che non coincide necessariamente con i voti alti nei saperi accademici.

Efficacia ed efficienza – Le metto insieme non tanto per risparmiare spazio (in questo senso, Il Sussidiario è di larghe vedute), ma perché sono strettamente collegate. Per accrescere l’efficienza, ci sono due strade: ottenere gli stessi risultati con una spesa minore, oppure ottenere risultati migliori con la stessa spesa. La prima alternativa, visti i risultati medesimi, non mi sembra percorribile, anche perché ridurre i finanziamenti in un settore che si ritiene cruciale sarebbe, come direbbero gli inglesi, cercare di tirarsi in piedi attaccandosi alle stringhe delle scarpe; la seconda alternativa richiederebbe una seria analisi preliminare del modello organizzativo della scuola, per individuare quello che si può migliorare: infatti, anche se fosse possibile aumentare la spesa, sono convinta che se non cambia il modello, i risultati miglioreranno di poco, e lo spreco aumenterà. Che l’obiettivo della scuola sia innanzitutto l’efficacia, cioè la capacità di rispondere alla domanda di formazione dei suoi utenti diretti, gli studenti, della comunità locale e della nazione, mi pare ovvio, anche se forse è il caso di ripeterlo, anche perché, al contrario, non sempre mi pare che sia condiviso fino in fondo dalla scuola (o, se vogliamo essere più esatti, dalle politiche educative). Efficacia ed efficienza non si possono/debbono separare: una volta individuati gli obiettivi, è necessario perseguirli con la minor spesa possibile, mentre partire dal vedere che cosa si può fare con i fondi disponibili, pochi o tanti che siano (e con il Pnrr sono insolitamente elevati) è una politica miserabilistica che nega ogni valore effettivo attribuito a parole all’educazione e alla cultura. Una seria analisi della spesa per l’istruzione, che tenga conto anche della spesa delle famiglie, mi sembra tra le prime cose da mettere in programma: ho archiviato da qualche parte quel “Quaderno bianco sull’istruzione” del settembre 2007 che conteneva uno studio di estremo interesse sugli aspetti finanziari, ma che non ha praticamente avuto seguito. Che sia perché “quaderno” è considerato meno importante di “libro”? Proviamo allora con un semplice appunto delle cose da fare per le quattro E:

equità ed eccellenza: individuare con precisione le situazioni più problematiche, e intervenire subito, ma con una programmazione di medio periodo, incentivando gli insegnanti migliori a lavorare in queste scuola, promuovendo la collaborazione con il territorio (associazioni sportive, parrocchie, gruppi del terzo settore, mondo del lavoro, servizi sociali per il sostegno alle famiglie), potenziando l’orientamento (la norma appena uscita e presentata sul Sussidiario da Francesco Magni contiene spunti positivi). Valorizzare le buone pratiche delle scuole e dei centri di formazione professionale, anche con riconoscimenti premiali alle istituzioni e ai singoli (docenti, classi, studenti).

efficacia ed efficienza: impostare subito una seria indagine sulla spesa per l’istruzione, e acquisire informazioni su modelli alternativi di finanziamento in atto in altri paesi. Diffondere le informazioni sui risultati dei test di larga scala, Invalsi o europei, premiando quelle scuole o enti locali che partono dalle rilevazioni per mettere in atto progetti di miglioramento. Rivedere la normativa per semplificarla e snellire gli adempimenti burocratici; qualificare e rinforzare i servizi amministrativi per alleggerire i carichi di lavoro del dirigente e lasciare più spazio all’organizzazione di un ambiente educativo.

Da dove cominciare? Beh, c’è una frase attribuita a san Francesco che mi sembra un’ottima indicazione, anche se non l’avesse detta lui: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”.

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