Un voto (anche) sul “modello lombardo” in sanità

Nei programmi elettorali dei candidati alla presidenza della Lombardia si parla anche di sanità, seppur con accenti diversi tra loro

Come sarà la sanità in Lombardia dopo la prossima tornata elettorale di febbraio? Sarà quella che proseguirà sotto la guida dell’attuale Presidente Attilio Fontana o quella per il momento solo immaginata dal suo principale competitor (almeno secondo i sondaggi) Pierfrancesco Majorino? Sarà quella prevista dall’ex assessore alla Sanità della giunta Fontana Letizia Moratti o quella ipotizzata dall’outsider Mara Ghidorzi?

Se avessimo la sfera di cristallo sarebbe tutto facile, ma per il momento possiamo solo riferirci alle promesse contenute nei diversi programmi elettorali dei candidati Presidenti. Ne presenteremo gli aspetti più qualificanti, ma cominciamo con l’osservare che la sanità costituisce una parte rilevante dei programmi elettorali di ciascuno dei candidati Presidenti. E questa, a prescindere da chi vincerà le elezioni, è sicuramente una buona notizia per i cittadini lombardi. Del resto sarebbe strano se non fosse così, considerato che la sanità rappresenta poco meno dell’ottanta per cento del bilancio regionale e i suoi effetti ricadono (e ricadranno) non solo sui 10 milioni di lombardi, ma anche su tutti quelli che continueranno a venire a farsi curare in Lombardia.

Se guardiamo in generale ai temi che sono contenuti nei programmi, al di là dell’enfasi, degli accenti, delle tante o poche parole usate per descriverli, dobbiamo dire che si assomigliano: miglioramento dell’accesso ai servizi, lotta alle liste e tempi di attesa, medicina del territorio, carenza di fondi, problemi del personale sanitario, ruolo delle farmacie, innovazione, informatizzazione e digitalizzazione, sono impegni che tutti i candidati sono disposti a prendere (seppure con iniziative differenti). Poi qualcuno aggiunge anche qualcosa di più specifico: ad esempio, il riferimento all’approccio “One health” e l’attenzione alla sanità di montagna per la Moratti, l’istituzione della figura del garante della salute, l’abolizione dei ticket sulla farmaceutica per cittadini con reddito inferiore a 100.000 euro e il potenziamento della applicazione della legge 194/78 per Majorino, e così via.

Chi ha già governato la sanità lombarda, conoscendo in prima persona le difficoltà pratiche e i vincoli che tale governo impone, risulta forse più prudente, moderato, e forse anche meno innovativo e originale nelle sue proposte, chi invece non avendolo ancora sperimentato prefigura l’ebbrezza del governo ed è disposto ad avanzare proposte la cui realizzabilità non dipenderà solo dalla sua buona volontà (esempio: abolizione ticket sui farmaci o su tutte le prestazioni) perché richiede risorse (la cui fonte non è ovviamente indicata nei programmi elettorali), fa magari qualche promessa in più e si espone di più.

Ma se non sono i temi a distinguere le proposte dei candidati presidenti (con il programma della Ghidorzi che si distingue un po’ di più rispetto agli altri tre), dove sono le differenze tra di loro? Che criteri dovrà (o potrà) usare il cittadino per fare la sua scelta?

In realtà, la questione sanitaria principale che è in gioco in queste elezioni lombarde non riguarda i temi da mettere sul tavolo e le specifiche, tutto sommato non particolarmente rilevanti sui singoli punti, differenze tra i programmi dei quattro contendenti, ma è il modello generale di organizzazione sanitaria che sottendono, ed è per questo che ne parliamo: piccole differenze a parte, sono a confronto due contrapposte idee di sanità. Da un lato c’è la sanità di Fontana e Moratti (non a caso quest’ultima è stata assessore alla partita proprio con l’attuale Presidente), ci sono 25 anni (dal 1997, prima riforma Formigoni) di esperienza sul campo fondata sulla sussidiarietà, sulla parità pubblico-privato (nel senso di parità delle regole di funzionamento), sull’efficienza gestionale, sulla eccellenza ospedaliera, sull’attrattività, e via discorrendo, con l’elenco di tutti i pregi che si ritengono conseguenti a questo modello. Dall’altro lato vi è la visione di sanità di Majorino e Ghidorzi, una sanità che per il momento i lombardi non hanno avuto la possibilità di sperimentare, una sanità che punta quasi esclusivamente sulle strutture pubbliche rendendo il privato (accreditato) del tutto marginale e confinato, una sanità fortemente centralizzata (Regione, Stato) dal punto di vista della programmazione e del governo, e così via. Quelli che per gli uni sono considerati dei pregi (efficienza, libera scelta, attrattività, sussidiarietà, …) diventano per gli altri dei difetti (priorità all’economia anziché ai diritti, svendita al privato, disuguaglianze, iniquità, …).

Il maggiore elemento di contrasto tra le due visioni riguarda il ruolo del privato (ma come ovvia conseguenza anche del pubblico), contrasto di opinioni che sta tornando al centro di molti interventi di commento anche al di fuori della Lombardia, privato che è valorizzato e sostenuto, sempre all’interno di un quadro di regole di sistema condivise, dai primi (Fontana e Moratti) e che è invece da ridimensionare e marginalizzare per i secondi (Majorino e Ghidorzi), i quali secondi descrivono l’attuale come una sanità che favorisce le diseguaglianze e dove il diritto alla rapidità della cura dipende dalla possibilità di pagare.

Sul punto occorre fare una piccola precisazione. La Lombardia viene qualificata come la regione principe per il privato: è così? Per rispondere consideriamo, ad esempio, i posti letto. La presenza del privato accreditato è molto variabile: si va dallo 0,1 ogni 1.000 abitanti della Basilicata, allo 0,2 della Liguria, per quanto riguarda i valori più bassi, al 1 x 1.000 di Campania e Calabria e al 1,1 della Provincia di Trento per i valori più alti, con una media nazionale di 0,7 x 1.000 abitanti. In questa classifica la Lombardia occupa solo il settimo posto (con l’Abruzzo), preceduta (oltre che dalle citate Provincia di Trento, Campania e Calabria) anche da Emilia Romagna, Lazio e Sicilia. Inoltre, nell’ultimo quinquennio di osservazione (2015-2019), i posti letto ordinari pubblici sono passati da155.460 (2,6 x 1.000) a 149.874 (2,5 x 1.000), mentre i posti letto ordinari privati accreditati da 41.037 (0,7 x 1.000) sono diventati 40.062 (sempre 0,7 x1.000).

Ciò premesso, per quanto riguarda la sanità i cittadini lombardi dovranno decidere se va bene continuare con l’esperienza in corso, tenendo conto delle modificazioni contenute nei programmi elettorali proposti, ovvero se cambiare completamente approccio riconoscendo che le censure segnalate da Majorino e Ghidorzi meritino di abbandonare il cosiddetto “modello lombardo” e di costruirne uno alternativo sulla base delle promesse e delle valutazioni contenute nei programmi elettorali.

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