Se in Europa spuntano i “gilet verdi”

In Olanda crescono le proteste degli allevatori che rischiano di vedere chiuse le loro attività in nome della transizione green perseguita dall'Ue

Il Governo olandese sembra pronto alla resa dei conti con le 30mila aziende agricole e zootecniche condannate a morte o a forti ridimensionamenti perché incompatibili con gli obiettivi nazionali di riduzione dei gas serra. Ed è un caso che sembra riassumere in modo esemplare molti “spiriti del tempo” nell’intera Unione europea: dove Bruxelles e gli esecutivi nazionali difendono la transizione verde integrale – strategia decisa prima della pandemia e della crisi geopolitica -, ma si scontrano immancabilmente con resistenze socioeconomiche tutt’altro che di minoranza o retroguardia.

I “gilet gialli” che hanno messo a ferro e fuoco Parigi per l’intero 2019 per le tasse punitive sui carburanti fossili sono ora diventati verdi nei Paesi Bassi. E si fanno subito partito: il BBB (“movimento dei cittadini agricoltori”) secondo i sondaggi sarebbe già terza forza in molti distretti non urbani in vista delle amministrative del 15 marzo. Intanto più della metà degli olandesi giustifica le loro proteste: le lente carovane di trattori che bloccano le autostrade o gli aeroporti; i cortei davanti ai palazzi del potere all’Aja. Ma il vero “quartier generale del nemico” è a poche decine di chilometri: a Bruxelles. È lì che lo stratega della svolta eco-energetica “senza se e senza ma” è un socialista olandese riconvertitosi in tecnocrate: Frans Timmermans, primo Vicepresidente della Commissione Ue.

“Il nostro Paese è a un bivio”, ha detto con toni ultimativi Christianne van der Wal,  ministro “per la natura e la politica dei nitrogeni” nell’esecutivo di centrodestra guidato dal popolare Mark Rutte. “O gli agricoltori olandesi si risolveranno ad accettare misure straordinarie per ridurre le emissioni di gas serra oppure L’Olanda si ritroverà impossibilitata a costruire nuove case d’abitazione e nuove infrastrutture”.  Le cifre-chiave: la zootecnia olandese produce il 46% dei gas serra che l’Olanda vuole dimezzare entro il 2030. Un obiettivo assunto nel decennio precedente, che a L’Aja ritengono tuttavia “non negoziabile”, addirittura per sentenza della Corte Suprema nel 2019.

Il Governo olandese – è vero – ha messo sul tavolo oltre 24 miliardi di euro per “chiudere” uno dei settori più storici dell’economia nazionale: tuttora i Paesi Bassi sono un grande esportatore mondiale di prodotti agroalimentari (anche se in parte ri-esportati). Resta il fatto – che in nome dell’Agenda 2030, carica di ideologie ambientaliste – a decine di migliaia di imprese (in gran parte familiari) è stato dato il preavviso di sfratto dall’Azienda-Paese: basta fattorie, basta mandrie. “Prendete i soldi e – se volete – fate altro”. Questo l’invito secco del Governo Rutte, alle prese con un altro caso energetico estremamente contraddittorio. Il Paese che ospita il più importante mercato globale di gas naturale – il Ttf di Amsterdam, divenuto famigerato nell’ultimo anno come conduttore inflazionistico delle fiammate inflazionistiche alimentate dalla guerra russo-ucraina – vuole infatti interrompere l’estrazione in vasti campi nelle aree settentrionali ufficialmente per un controverso rischio sismico (ma con sospetti di pressioni delle lobby che mirano a fare dell’Olanda un laboratorio di transizione verde a tappe forzate).

Fin qui la cronaca: che può includere anche la rivolta dei farmer inglesi (fuori Ue ma in Europa), che si sono visti accusare dell’improvvisa rarefazione di lattuga e pomodori freschi dai supermercati. La “crisi dell’insalata” Oltre Manica, ha cause precise: la Brexit oltreché una riduzione (in Gran Bretagna e sul Continente) della produzione di vegetali in serra per l’inflazione da elettricità. Ma un po’ di polverone mediatico è naturalmente bastato perché anche gli agricoltori inglesi si mettessero sul piede di guerra: quello percorso già da mesi da milioni di dipendenti pubblici della sanità, della scuola, dei trasporti.

Nei suoi primi 34 anni – da Roma 1957 a Maastricht 1991 – la Comunità europea (fondata anche dall’Olanda) è stata fondata sulla Pac, la Politica agricola comunitaria. Non sembra inopportuno ricordarlo quando un Governo insiste nel volerla cancellare per decreto imponendo un mantra mediatico: con puri indennizzi finanziari – in epoca di stagflazione – ai cittadini che in quell’agricoltura credono ancora, lavorandovi. Se le piazze europee continueranno a popolarsi di gilet gialli o verdi, di trattori o di forconi, sarà sempre un errore politico deplorare “disordini” o demonizzare “facinorosi”. In Francia i “gilet jaunes” hanno già trasformato un Presidente-tecnocrate come Emmanuel Macron in un’anatra zoppa. E l’anno prossimo si vota in tutt’Europa.

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