Sanità “più statale”: è questa la svolta?

Non serve un rilancio di un servizio sanitario concepito quasi 50 anni fa, ma occorre una nuova riforma, un ripensamento globale della struttura del servizio

Anche in sanità, nonostante l’impressione di immobilismo che spesso ci assale di fronte a ciò che non funziona e che persevera nel non funzionare, “tutto si muove e nulla sta fermo”, ma in questo continuo divenire della realtà si nasconde un grande pericolo, e cioè che tutto questo (almeno apparente) movimento crei solo un incremento di entropia, un aumento della confusione e del disordine. L’alternativa non è certo la fissità dell’essere, ma considerato che la realtà, che lo vogliamo o meno, si muove si tratta di capire se questo cambiamento può essere in qualche modo governato, guidato e rilanciato o se invece prevalgono le regole, tutto sommato piuttosto anarchiche, del “tutto scorre” (in questo caso: sanitario).

Più volte questo pensiero mi è venuto alla mente durante la prima fase dell’episodio pandemico ancora in corso, anche se si sta andando verso un’attesa e da tempo prefigurata soluzione endemica, soprattutto di fronte alle incertezze conoscitive che lo hanno caratterizzato, alle titubanze organizzative che ne sono conseguite, agli errori che hanno marcato il percorso, per non parlare delle vittime che abbiamo lasciato per strada e degli eroi che non sempre siamo stati in grado di apprezzare e valorizzare e che oggi abbiamo già dimenticato.

Se avessimo misurato l’entropia del servizio sanitario, e qui emerge la formazione originaria di chi scrive, prima dell’episodio pandemico e dopo la sua prima o seconda ondata, da una parte si sarebbe registrato un fisico riscontro al continuo divenire anche della realtà sanitaria (in termini di aumento entropico, di maggiore confusione) e dall’altra avremmo però trovato un’ennesima verifica che la tesi di Leibniz secondo cui “natura non facit saltus” è smentita anche nel contesto della realtà sanitaria e non solo nella struttura quantica della materia e (più in generale) nell’evoluzione delle scoperte scientifiche.

L’evento pandemico da cui stiamo faticosamente uscendo ha segnato un momento di straordinaria discontinuità in tutti i sistemi sanitari mondiali, in quelli dei Paesi ricchi e in quelli dei Paesi poveri, in quelli con Governi democratici e in quelli con Governi autoritari, nel Nord e nel Sud del mondo, a Ovest come a Est. Non solo, come diceva Magatti (Corriere della Sera, 10/01/2022) “quando usciremo da questa pandemia non saremo più gli stessi e soprattutto non saremo tutti uguali” perché ognuno di noi (che lo voglia o no) è di fatto cambiato, ma anche il SSN non è più lo stesso, e come al solito se ne stanno accorgendo per primi i soggetti più deboli e fragili, quelli costretti a ritardare le cure o addirittura a rinunciarvi.

A proposito del SSN, la realtà di oggi ci dice che sono in corso diversi contributi (dibattiti, documenti, articoli, libri, petizioni, raccolte di firme, ecc.) che si muovono sull’obiettivo di un rilancio del SSN pubblico, ma che pensano in realtà a un SSN “più statale”: è questo il “saltus”, la discontinuità che ci consegna l’esperienza pandemica? È in questa direzione che va guidato il rilancio del servizio sanitario nel nostro Paese?

Non c’è dubbio che sulla parte “statale” del SSN sia necessario intervenire in molti modi (finanziamento, professionisti, emergenza-urgenza, ecc.), ma il nocciolo del problema è ben più profondo e c’è voluta una pesante pandemia per farcene rendere conto. Abbiamo costruito un servizio sanitario per affrontare il tema della cronicità sul presupposto di avere debellato le malattie infettive, ma mentre la prima battaglia (cronicità) è ancora in corso (con evidenti successi) e merita di essere continuata e perseguita con energia, il presupposto della sconfitta delle malattie infettive ha rivelato tutta la sua debolezza e cominciano a essere numerosi coloro che prevedono negli anni a venire nuovi e ripetuti episodi pandemici di gravità ed estensione difficili da definire.

Ma questa è la sanità che ci aspetta domani, questo è il salto necessario per andare oltre il continuo divenire della realtà senza aumentarne l’entropia. Certo, dovremo tradurre questo salto in termini di finanziamento, di personale, di organizzazione di servizi e di tutto quell’armamentario di strumenti e iniziative che serve per far funzionare un servizio sanitario, ma prima di tutto è necessario comprendere che il SSN non ha bisogno di qualche (più o meno grande) aggiustamento, di un semplice rilancio dopo la debacle e le sofferenze pandemiche, ma di un ripensamento complessivo, qualcosa che nel lento scorrere di un fiume rappresenta una discontinuità (diga, cascata, …) oltre la quale il fiume, pur continuando il suo corso come fiume, non è più lo stesso di prima e va alla ricerca di un nuovo equilibrio, di nuovi punti fermi e di colmare la discontinuità.

Per dirla con un linguaggio più tecnico: non abbiamo bisogno di un semplice (o complesso, se volete) rilancio di un servizio sanitario concepito quasi 50 anni fa per altri obiettivi e con diversa prospettiva, che con aggiustamenti, modificazioni e piccoli cambi di rotta prosegua il suo corso in apparenza diverso (ma solo in apparenza), ma serve una nuova riforma, un ripensamento globale della struttura del servizio, una discontinuità che una volta colmata porti all’individuazione di nuovi elementi di equilibrio e di stabilità cui ancorare il SSN di domani, cercando di trarre insegnamento anche dal continuo ripetersi degli episodi pandemici. Ecco perché occorre “superare panta rei”.

Ci vuole coraggio, iniziativa, visione, ma è quello che ci aspettiamo da tutti gli interessati, politica compresa, per il ridisegno di un servizio sanitario post-pandemico.

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