Sanità: più appropriatezza sì, ma come?

Schillaci sembra particolarmente preoccupato dal tema dell'inappropriatezza nell'erogazione dei servizi sanitari, ma non indica come correggere la rotta

Il Ministro Schillaci sembra particolarmente preoccupato dal tema dell’inappropriatezza nell’erogazione dei servizi, in particolare ospedalieri. Prima ci ha segnalato che ogni anno (preso il 2022 come esempio) ci sarebbero 1.300.000 ricoveri impropri o inappropriati; poi ha dato una occhiata agli accessi in pronto soccorso e ci ha comunicato che il 80% di questi accessi sarebbero impropri: chi sarà il prossimo bersaglio (perché non c’è due senza tre e si sa che la saggezza popolare ha i suoi riscontri e raramente sbaglia) degli strali del Signor Ministro?

Chiariamo subito, al di là che siano giusti o meno i numeri messi a disposizione dal ministro (per un approfondimento sui numeri si veda qui), che si condivide l’idea che l’inappropriatezza nell’accesso ai servizi o nell’erogazione delle prestazioni debba essere oggetto di attenzione perché è senza dubbio una delle cause di un cattivo e distorto utilizzo delle risorse disponibili, e considerato che tutti ritengono che il servizio sanitario è sottofinanziato è evidente che sapere che le risorse vengono sprecate (o non utilizzate in modo appropriato) non è certo una buona notizia per chi ha bisogno di cure, soprattutto se per erogare impropriamente servizi si rinuncia a mettere a disposizione le prestazioni che fanno parte dei livelli essenziali di assistenza o a costringere i soggetti più deboli o meno economicamente attrezzati al ritardo nell’accesso alle prestazioni (come risulta dai lunghi tempi di attesa continuamente segnalati dai media) financo addirittura alla rinuncia alle cure come da più parti viene segnalato e i dati del periodo pandemico stanno dimostrando.

Bene quindi che il ministro alzi l’attenzione su una maggiore appropriatezza nei servizi da erogare, ma ci deve dire anche come si raggiunge questa maggiore appropriatezza, cosa si deve fare per limitare i ricoveri o gli accessi in pronto soccorso che sono giudicati impropri, quali azioni centrali (Governo e ministero della Salute), regionali o locali (ospedali, Asl, ecc.) devono essere attivate per contrastare l’inappropriatezza, e a quali eventuali conseguenze devono andare incontro le amministrazioni e le strutture che perseverassero nell’adozione di comportamenti considerati impropri.

Il riferimento, per ora, solitario alla realizzazione dei progetti della missione 6 del Pnrr e al potenziamento dell’assistenza territoriale è lodevole, ma ancora troppo generico (anche perché non ci sembra di vedere un grande attivismo sul territorio, salvo in qualche regione) e se da una parte può venire facile ipotizzare (almeno in via teorica) che esso possa costituire una risposta (anche se magari insufficiente ed incompleta) agli accessi impropri in PS, più difficile e bisognoso di attività articolate non solo sul territorio ci sembra che meriti l’affronto dei ricoveri impropri.

Certo non è tutto compito del ministro (e del ministero), soprattutto non è sua la responsabilità della realizzazione concreta degli interventi, responsabilità che spetta alle regioni e alle amministrazioni locali che sembrano invece più interessate al tema del sottofinanziamento del Ssn, soprattutto dopo la scoppola economica imposta dall’affronto della pandemia e della crisi energetica, e alle problematiche del personale (come indica anche il recente documento prodotto dal Coordinamento della Commissione Salute delle regioni).

Se l’implementazione concreta delle soluzioni spetta ai territori e alle amministrazioni periferiche, il compito di indirizzo e di valutazione è sicuramente in capo innanzitutto al ministero della Salute e a quello dell’Economia, dai quali ci si aspettano indicazioni precise sulle strategie da adottare e valutazioni di responsabilità nei confronti delle amministrazioni che risultassero inadempienti, perché un conto è la sussidiarietà che valorizza le specificità locali all’interno di un percorso governato e programmato, e altro conto è l’anarchia senza conseguenze che a volte caratterizza alcuni aspetti del Ssn. La segnalazione di comportamenti inappropriati e le lamentele sulle attività improprie sono del tutto inefficaci (e anzi, spesso, deleterie) se poi si finisce solo a tarallucci e vino.

Qui non si tratta di mettere a contrasto il tema del centralismo con quello dell’autonomia (eventualmente anche differenziata), le responsabilità del centro rispetto a quelle della periferia: se concordiamo che l’inappropriatezza è un problema serio anche in termini quantitativi e di conseguenze sul Ssn (e per chi scrive lo è, anche se si può discutere sulla dimensione del problema così come lo ha quantificato il ministro) e non solo uno dei tanti modi con cui si possono qualificare ed etichettare alcuni servizi o prestazioni, l’intervento di merito deve essere altrettanto serio, e prevedere indicazioni comuni (per quanto flessibili per tenere conto delle diverse realtà territoriali) da una parte, ma anche (dall’altra) conseguenze precise e concrete per chi persevera nell’erogazione impropria di servizi e prestazioni, perché è troppo facile (anche se è giusto) lamentarsi della scarsità delle risorse, ma contemporaneamente non mettere in opera tutte le attività possibili che permettano di usare al meglio le risorse disponibili.

In questo percorso la recente approvazione da parte della Conferenza Stato-Regioni del nuovo documento sui Livelli essenziali di assistenza (Lea), lodevole come atto tecnico perché è ovviamente meglio avere un nomenclatore aggiornato piuttosto che uno parzialmente desueto, non aiuta perché da una parte non riguarda i ricoveri e gli accessi al PS e dall’altra non fornisce esplicite indicazioni su come limitare l’inappropriatezza erogativa riferita alle prestazioni ambulatoriali.

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