È aperta a Parigi fino al 4 febbraio una straordinaria mostra su Van Gogh. Quello degli ultimi due mesi di vita, nei quali lavorò senza tregua, con dentro una ferita insanabile
Il 17 maggio 1890 Vincent Van Gogh approdava all’ultima tappa della sua vita: partito dalla Provenza arrivava a Auvers-sur-Oise, un paese a un’ora di treno da Parigi. Era stato il fratello Theo, premuroso e amatissimo, a organizzargli questo estremo tentativo di trovare una quadra alla sua vita minata dalla malinconia. Auvers non era un paese qualunque: erano arrivati a dipingere grandi artisti come Pissarro e Cézanne. E soprattutto qui abitava e esercitava la sua professione un medico, Paul Gachet, amico di tanti pittori, lui stesso pittore a latere delle sua professione. Gachet soprattutto si era laureato studiando proprio il male oscuro che affliggeva Van Gogh. Un piano ben studiato, dunque quello messo a punto da Theo. Non sufficiente però a mettere in sicurezza quel suo fratello che 70 giorni dopo si sarebbe ucciso con un colpo di pistola.
A questi ultimi due mesi di vita di Van Gogh il Musée d’Orsay di Parigi ha dedicato una mostra straordinaria, completa e davvero imperdibile (è aperta fino al 4 febbraio). È profondamente commovente seguire passo a passo l’artista combattere la sua battaglia, restando ostinatamente fedele al suo lavoro. In quei due mesi e poco più dipinge ben 74 quadri, riprende a disegnare con grande intensità; grazie a Gachet, esperto in questa tecnica, si introduce anche all’incisione. È pieno di speranza Van Gogh, che appena approdato a Auvers scrive al fratello di avvertire “molto benessere nell’aria”. Gachet gli consiglia di buttarsi nel lavoro e lui segue il consiglio. Lo fa con molta lucidità e in mostra si scopre un Van Gogh in pieno movimento, che sperimenta soluzioni nuove. Dipinge dei mazzi fiori che colpiscono per l’audacia di un tocco molto evidente. Nei ritratti mette in campo sperimentazioni plastiche a volte sorprendenti, attraverso il formato quadrato, gli sfondi retinati, giochi di colori tono su tono e un disegno estremamente semplificato. Sono ritratti a Gachet, a sua figlia Marguerite, o alla figlia della locandiera presso cui è alloggiato, Adeline Ravoux.
Appena arrivato a Auvers chiese a Theo di procurargli della carta, anche su formati grandi, perché intendeva tornare a disegnare, anche in questo caso per sperimentare. I disegni sono arricchiti con un pennello di olio blu, mescolati con acquerello, su carte di colore grigio-blu o rosato. La penna e l’inchiostro vi si mescolano con il gesso nero, blu o marrone, oppure alla matita.
Nelle sale del Musée d’Orsay siamo trascinati dentro questo vorticoso desiderio di novità, originato sempre da uno sguardo innamorato davanti al mondo e al creato. Ma il punto di assoluta meraviglia lo si raggiunge nell’ultima sala, dove sono raccolti 11 dei 12 quadri che Van Gogh dipinse in quelle settimane sperimentando, con molta determinazione, un formato del tutto insolito, molto orizzontale, di 50 x 100 centimetri. Sono tutti paesaggi, con vedute anche molto ravvicinate, che vengono a comporre come un nastro avvolgente: fa parte di questa serie anche il celebre Volo di corvi su un campo di grano. Lo sguardo di Van Gogh sembra obbedire ad un bisogno di dilatazione per restituire pienamente il senso di infinito custodito nel reale. È un sguardo di rara intensità pieno e di struggimento, che lo porta a dipingere anche una coppia di innamorati nel cuore di un bosco. Davanti a quei quadri si resta stupiti, commossi e anche feriti: impossibile sfuggire al mistero di un cuore così grande e così capace di regalarci la meraviglia del creato, ma destinato di lì a poco ad essere sopraffatto dal dolore.
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