Viviamo in una dissociazione della conoscenza, molto comoda per evitare di comprendere la complessità della realtà

Viviamo con una dissociazione della conoscenza. Da un lato, c’è quello che accade e, dall’altro, quello che pensiamo del mondo, della politica, di noi stessi. Spesso non siamo in grado di apprendere dall’esperienza. Come dice il filosofo americano John Gray, l’esperienza “è la condizione del progresso”, ma noi fuggiamo da essa per cercare di preservare la nostra sanità mentale negando la verità che ci mortifica.



Si moltiplicano gli esempi di ciò che Gray chiama “dissociazione cognitiva”. Non è strano di questi tempi che un cittadino solidale, che dedica tempo e denaro per aiutare i migranti nel suo quartiere, voti poi per partiti che hanno fatto della criminalizzazione dell’immigrazione la loro bandiera. Quel cittadino prima vive, aiuta gli stranieri, e poi giudica la vita politica con criteri che nascono da istanze sovrapposte. La stessa cosa accade tra i cittadini che votano per certi partiti perché sono molto preoccupati per l’avanzata del “fascismo”. Quegli stessi cittadini poi hanno difficoltà a trovare tra i loro più stretti conoscenti uno di quegli orribili radicali che minacciano il progresso.



La dissociazione della conoscenza sfugge alla complessità della vita e del mondo, è una forma di disinformazione accettata e in alcuni casi ricercata che rassicura perché semplifica: esistono solo i buoni e i cattivi, solo i “nostri” e gli “altri”. La dissociazione della conoscenza intorpidisce perché cerca comodi sistemi di interpretazione.

Questa “dissociazione cognitiva” spiega alcune delle reazioni che si sono verificate dopo la rapida caduta del regime di Assad in Siria. Ci sembra che il crollo del tiranno sostenuto da Russia e Iran sia qualcosa che avviene “dall’altra parte” del mondo, in Estremo Oriente, quando in realtà parliamo dell’altra sponda del Mediterraneo. Nel 2011, quando la Primavera araba fu colonizzata dallo “jihadismo”, abbiamo avuto esperienza di quanto sia vicina la Siria. Quattro anni dopo, un milione di rifugiati arrivarono nell’Unione europea in fuga dalla guerra. Ma continuiamo a pensare, nonostante l’impatto della realtà reale, che l’Europa sia un’isola che può vivere separata dal mondo.



Resistenza all’apprendimento dall’esperienza. Un altro esempio: chiamiamo “crisi dei rifugiati” l’arrivo di quel milione di persone in fuga dalla guerra nel 2015. E da allora l’Unione europea è in preda al panico per il timore di una “invasione esterna”. La Germania è uno dei Paesi che ha accolto più stranieri negli ultimi anni. L’opinione pubblica di quel Paese pensa che quasi tutti siano rifugiati e che non si siano integrati. L’Ocse ha dimostrato che la “realtà pensata” è diversa dalla “realtà reale”: la maggioranza degli stranieri che vivono in Germania proviene dall’Ue, il 70% ha un lavoro e il 75% impara la lingua entro cinque anni.

La complessità di ciò che sta accadendo in Siria non rientra in uno schema manicheo. Il regime di Assad, come confermato da quanto abbiamo visto nella prigione di Sednaya, era di una crudeltà difficile da immaginare. Ma da dieci giorni parliamo delle milizie che lo hanno rovesciato come di “gruppi ribelli”, come se avessero lanciato una rivoluzione destinata a instaurare la democrazia. Al Jolani, il principale leader dei “ribelli”, è a capo dell’organizzazione Hayat Tahrir al Sham, ereditata da Al Qaeda. I suoi membri non si sono battuti per stabilire un sistema liberale. E i loro messaggi a favore della moderazione e del rispetto delle minoranze (i cristiani sono la più importante) sono molto simili a quelli lanciati dai nuovi talebani quando hanno ripreso il potere in Afghanistan nel 2021: da allora il Paese è piombato in una notte davvero buia.

In Siria hanno trionfato gli islamisti sostenuti dalla Turchia, che l’Ue considera “un Paese sicuro”. In linea di principio, è una buona notizia che sia stata dimostrata la debolezza dell’Iran, di Hezbollah e della Russia, partner di Assad. Ma è molto probabile che l’Islam sciita che ha sostenuto il regime siriano sarà sostituito da un islamismo sunnita. Che ruolo ha giocato o giocherà in tutto questo cambiamento Israele, che ha già aperto un nuovo fronte bombardando le installazioni militari di Assad? Quali sono i piani dell’Arabia Saudita, molto vicina a Israele negli ultimi tempi?

È impossibile comprendere un mondo così complesso con uno schema di buoni e cattivi, con una dissociazione cognitiva che cerca di evitare la complessità. Proprio questa complessità richiede più che mai il ricorso all’esperienza.

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