Lasciamoci sfidare dalle domande dei giovani

Oggi la scuola è piena di conflitti, disagio, fragilità. Una grande domanda di senso alla quale può rispondere solo uno sguardo più umano

“Educare è un fatto di amore verso l’umano” (Luigi Giussani). “Finché si avranno passioni non si cesserà di scoprire il mondo” (C. Pavese). “Solo lo stupore conosce” (Gregorio di Nissa).

Educare, scoprire, conoscere, tutte esperienze umane che in qualche modo rimandano alla scuola, a questo ambito che per tanti è prossimo e familiare. Basti pensare che in Italia sono circa 8 milioni (tra bambini e ragazzi) coloro che frequentano un’istituzione scolastica, cui sono da aggiungere le relative famiglie e i circa 700mila docenti.

Ma guardando la scuola oggi, viene da chiedersi se non sia un paradosso evocare fattori come amore, passione, stupore. Purtroppo, infatti, ciò che della scuola balza agli occhi non è il silenzioso, faticoso, appassionato lavoro e impegno di tanti (insegnanti e studenti), ma piuttosto il clima di violenza, la paura, le tensioni, il bisogno di difendersi, come se anche la scuola fosse diventata una quotidiana trincea. Continuamente vengono riportati episodi di dirigenti e docenti offesi e aggrediti (dagli studenti, ma anche e forse più spesso dai genitori), di ragazzi bullizzati dai compagni. Episodi che raccontano di conflitti, di disagio, di fragilità che non di rado hanno epiloghi anche tragici. Fenomeni in aumento. Storie che purtroppo conosciamo e di cui non serve raccontare la cronaca. Non serve riproporre il dolore che suscitano. Viene solo da chiedersi: “Davvero noi adulti non riusciamo più a far fronte a questa sterminata domanda di educazione che questi episodi gridano?”.

Quante regole siamo capaci di mettere in campo! Quanti Piani continuiamo a varare.

E intanto la vita nella scuole, soprattutto superiori, continua a metterci di fronte a sempre nuove sfide. Sono iniziate le occupazioni scolastiche da parte degli studenti. Rivendicazioni legate alle strutture, problematiche connesse alla valutazione, ma anche tematiche di forte attualità politica, in primis la solidarietà con il popolo palestinese. Secondo un malcostume imparato dai padri, le occupazioni sono state anche fonte di danni, talora rilevanti, alle strutture scolastiche, provocando la reazione di una circostanziata circolare ministeriale che si è fatta giustamente carico di  sanzionare. Sanzioni economiche, sanzioni disciplinari e probabili bocciature.

Ma questi studenti che occupano, che danneggiano, che colpiscono e feriscono i loro insegnanti, che bullizzano i compagni, sono gli stessi giovani a cui non possiamo non guardare come speranza e risorsa per il futuro. Un grande educatore del nostro tempo, don Luigi Giussani, già trent’anni fa diceva: “Attraverso i giovani si ricostruisce una società; perciò il grande problema della società è innanzitutto educare i giovani”. E oggi, trent’anni dopo, la condizione dei ragazzi ha raggiunto punte di tale disagio che chi opera nella scuola, statale o paritaria che sia, non può non fare i conti con le domande che da tale disagio emergono. Famiglia, insegnanti, realtà associative esterne, nessuno che abbia a che fare con i giovani può sottrarsi al grido di questa generazione.

Con Angelina Mango a Sanremo hanno urlato “a me mi viene la noia. Muoio senza morire in questi giorni usati. Vivo senza soffrire. Per fermare la noia muoio perché morire rende i giorni più umani”. Ma la scuola c’entra qualcosa con questa noia? C’entra con questa morte e con questa vita? Può essere una risorsa? Affinché i giorni non siano solo usati, come canta Angelina, ma vissuti?

Oggi il mondo della scuola è attraversato da continue innovazioni e mini-riforme. Modifiche negli esami di Stato finali, cambiamenti nella valutazione, introduzione di nuove discipline. Ma c’è un fattore imprescindibile, che se non entra in campo anche nella didattica condanna la scuola ad un’ultima estraneità dallo studente. È la stima per quel ragazzo che hai davanti. La stima e la tenerezza per il suo cuore, per il suo desiderio di vita, per la sua libertà. È quel fatto di amore verso l’umano che, come dice Giussani, ci vuole per educare. Quello sguardo di stima che può distruggere i muri dell’estraneità e “liberare” nei ragazzi passione e stupore.

Un insegnante che ho conosciuto era solito dire “quando la mattina entro in classe domando che tutto quello che farò o dirò sia all’altezza del desiderio dei miei ragazzi”. Un desiderio da amare e da provocare perché cresca e invada lo spazio della vita. Perché, come ancora aveva detto don Giussani, “il desiderio è come la scintilla con cui si accende il motore. Il desiderio spalanca l’uomo sulla realtà”. Ecco perché Pavese può dire che finché ci saranno passioni si continuerà a scoprire il mondo. La sfida più grande che un insegnante può trovarsi davanti è il ragazzo che non ha passione, il ragazzo a cui ciò che quotidianamente la scuola propone non interessa, non intercetta il suo cuore. E quello sguardo piatto e assonnato, quelle dita che non vorrebbero mai staccarsi dal cellulare, quel corpo spesso anche fisicamente ripiegato ti sfidano. Se un giorno gli vedrai alzare la testa vorrà dire che la scintilla si è accesa. Che la libertà si apre a verificare ciò che gli stai proponendo. E a questo punto tutto quello che con amore, pazienza e competenza avevi messo in campo potrà cominciare a dare i suoi frutti.

Perché oggi ci vuole veramente tanto amore e tanta saggia professionalità per navigare nel mare della didattica. E per fornire gli strumenti più idonei per affrontare un mondo che sarà sempre più abitato dall’Intelligenza Artificiale e un mercato del lavoro sempre più esigente e selettivo. Se vogliamo bene a questi ragazzi dovremo imparare che le soft skills non sono un optional, ma qualcosa il cui apprendimento va messo seriamente a tema. Che le discipline STEM (l’insieme delle discipline scientifiche) non sono nemiche di un approccio umanistico alla conoscenza, ma, al contrario, sono funzionali proprio all’acquisizione di quelle competenze trasversali (pensiero critico, creatività, comunicazione, collaborazione) oggi sempre più richieste proprio dal mercato del lavoro.

Quanto amore ci vuole per cercare il meglio per i nostri ragazzi, per lasciare spazio a ogni risorsa emergente, per non essere schiavi di ciò che già sappiamo, per lasciarci sfidare dalle loro domande.

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